Lo spirito indomabile di un poeta: “Parole sporche” di Domenico Garofalo

(a cura di Sabrina Santamaria)

Recensione pubblicata nel sito www.sabrinasantamaria.it

Molti critici letterari sono concordi nell’affermare che la poesia sia il sospiro dell’essere umano e, allo stesso tempo, quindi un genere letterario sublime che non si apre alla possibilità di un linguaggio popolare o a sproloqui di varia natura. La poiesi la identifichiamo immortalandola in una  creazione scevra da istinti e pulsioni umane, la percepiamo come il frutto aulico dell’anima nostra tanto è vero che  tantissimi autori si adoperano a correggere i refusi nei loro elaborati e così facendo ne eliminano le “scorie”. Nella società contemporanea la letteratura quante potenzialità contiene in sé? Per quanto riguarda la poesia, i versi poetici possono fare breccia nei cuori giovanili? Con quali artifici letterari? In tantissime circostanze scrivere poesie non è solo un balsamo dell’anima, ma è anche un modo per “pulirla” e per esprimere i propri sentimenti e pensieri, in guisa di questa funzione dei testi poetici possiamo sostenere che i poeti hanno espresso le loro riflessioni mediante le loro poesie e in virtù di questo modus operandi tanti autori sono ricordati nella storia della letteratura con l’epiteto di “maledetti” come Baudelaire, Rimbaud, D’Annunzio e Oscar Wilde, ma non solo, basti pensare, anche alla “Scapigliatura”, movimento italiano ottocentesco oppure allo stile “sfrontato” di Cecco Angiolieri o Cielo D’Alcamo. Tutti noi attraversiamo sentieri impervi nella nostra vita e ci ritroviamo, spesso, a seguire rotte che nascondono tesori segreti su velieri travolti da oceani dalle onde impervie, ciò che ci contraddistingue è la forza interiore con la quale affrontiamo i nostri cieli ovattati di rame; Domenico Garofalo, poeta “crepuscolare”( così io l’ho definito in un precedente articolo) muove le fila per un sentire autentico e strettamente personale, egli non risente dei retaggi altrui, e riesce a dar voce alla furia indomabile che divien regina della sua vena poetica. Domenico Garofalo fonde in versi le sue istanze psicanalitiche infatti le sue raccolte poetiche si improntano al Super-Io, “Acquerelli” e “Cambio matita” costituiscono le pubblicazioni d’esordio del nostro autore in cui la figura del poeta si intravede timida e ancora leggermente abbozzata, in “Caffè schiumato” l’archetipo dello scrittore diventa sempre più nitido e ben definito, quindi in questo libro l’Io del poeta diviene tangibile tuttavia le riflessioni racchiuse in questa opera poetica rientrano in una “morale” comunemente accettata; il cuore pulsante dell’Es raggiunge l’apice in “Parole sporche” in cui il poeta veste l’effige dell’essere ironico,  goliardico e spudorato, colui che descrive in modo nudo e crudo un mondo dove i peccatori sono finti santi e perbenisti in cui l’ipocrisia è il saio giornaliero che l’uomo contemporaneo indossa. Il nostro autore sfata i falsi miti dell’etica odierna che propina la logica dell’opulenza e del predominio dell’ “avere” sull’ “essere” sebbene Garofalo possa essere accusato di essere “antipoetico” in realtà il poeta stipula un patto con il lettore ed è quello di donargli un piccolo frammento di sé, poco importa se appaia piacevole o meno, ma l’importante è che sia veritiero e genuino. Le mal du vivre si tramuta in versi scoppiettanti di satirica rabbia o di ironica denuncia che non lasciano scampo, l’autore osserva e scruta la realtà circostante con occhio analitico e sincero e, di certo, fra le sue anafore non ama anteporre eufemismi che possano, in qualche modo, ammansire la sua aspra poetica: “La rabbia ho deciso di tirarla fuori per vederla e poterla combattere, stanco dopo centinaia di anni che ho visto lei in me.”(“La rabbia”, pag 42). Immergendomi fra  i suoi testi poetici ho immaginato una fantasmagorica scena ove i protagonisti erano la razionalità e l’istinto che si picchiavano violentemente e si sferravano dei pugni senza esclusione di colpi, chi vincerà questa sempiterna battaglia? La lotta fra le diverse sfere del sé si erge come un complesso inconscio irrisolto che fa pendolare il poeta rimasto a mezz’asta fra i suoi stati d’animo e sguinzaglia la sua retroguardia contro il nostalgico spleen: “Poi il ricordo di lei, del suo sorriso e dei suoi occhi, che ti fottevano l’anima, a ogni tuo respiro, tutti i giorni.”( “Delicata sonata”, pag 46), “Comprendo il tuo dolore io, ci sono passato attraverso questo dolore. Quel tuo viso chino e le mani strette alle mie. Quel tuo viso tra le mie mani e lacrime che scendono. Volevo dirti che comprendo il tuo dolore io. Sono qui per portarlo lontano da te, il nostro dolore.” ( “Un giorno qualunque”, pag 39). Domenico Garofalo comprende che nessuno riesce a entrare nei suoi pensieri ed emozioni in quanto è solo il poeta il filtro privilegiato degli attimi che egli muta plasmandoli in enunciati fruibili ai lettori amanti della schiettezza espressiva e della sperimentazione letteraria; egli è uno scrittore che si forgia nel lungo cammino che si spiana innanzi improvvisando un interessante laboratorio aperto a chi ha la mente pulsante a esplorare paesaggi interiori ancora inesplorati, proprio per questa ragione “Parole sporche” è la tela di un dipinto dalle tinte variopinte che partono dal colore nero(il lutto e il cordoglio)  e terminano con la purificazione resa luminosa dal bianco, fulgido istante che libera il poeta dalle pulsioni di morte; mediante questa valle di Baca  Domenico  Garofalo brama e desia  sfrecciare fra le nubi poiché egli possiede le ali di un gabbiano, dallo spirito indomabile, che abbandona il becero stormo per intraprendere una stimolante e inaspettata avventura nei sentieri dell’imponderabile.