“Dentro me stesso”: poesia e realtà dell’anima

Renato Di Pane e la sua ultima raccolta poetica

di Cinzia Baldazzi

   Procediamo con attenzione nel terreno semantico della raccolta “Dentro me stesso” di Renato Di Pane: la riflessione sul significato dell’esistenza, sull’etereo intervallo attivo fra tempo ed eternità, sul legame misterioso tra visibile e invisibile, fato e necessità, conduce infine all’amore, in grado di dare forza a pulsioni della psiche dove il sentimento si identifica con l’emozione o con il dolore:

fino in fondo so che questo amore mio

è solamente un’emozione

che il tempo porta nel mio io…

[“Ti voglio qui vicino”]

Sei tu, soltanto tu,

che ascolti questo mio dolore,

flebile ed etereo,

inconsciamente tuo.

[“Inconsciamente tuo”]

   Tuttavia, sorge il quesito: se «chiudo gli occhi e vado oltre» [“Cercando in me”], come supererò la paura di aver sconfitto l’angoscia provata? La soluzione è chiara, denotativa: grazie alla scelta di affrontare «a testa alta anche il mio ultimo riflesso».

   Ma dove? Guardandomi intorno, la domanda può celare un’unica risposta: nel gioco degli opposti, adeguato a confondere gli orizzonti «che riecheggiano sopiti in un vortice di passione» [“Come un filo di voce”], in uno scambio continuo tra corporeità e sentimenti («una rosa che si sveglia ricoperta di rugiada […] un filo di voce che non smetterà di urlare»), all’altezza di valutare il peso o la leggerezza, il reale delle cose oppure il nulla coinvolgente.

   E se invece desiderassi volare, andare al di là? Allora, con un «paio d’ali» [“Come un gabbiano”], potrei planare sul contesto «cercando ancora di sognare», nel fluire di una dimensione rimasta incerta, sospesa, sulle orme di un destino in cui «il tramonto disteso sul mare» stabilisce una rete compatta di analogie tra il limite della conoscenza effettiva e quella consentita, «mentre una brezza risana i miei pianti».

   Sono solo alcuni possibili esiti suscitati dagli interrogativi provenienti dalla complessità delle voci presenti nella raccolta, là dove, sostiene Domenico Venuti nella prefazione, Di Pane «riesce a toccare le più profonde sfere dell’essere, in un crescendo ricco di pathos», e il suo canto «emerge e si irradia all’esterno per proiettarsi verso gli altri, verso il mondo».

   Le prime pagine della silloge vedono non a caso allineate le opere forse maggiormente paradigmatiche dell’autore, in una sorta di mini-trilogia costituita da “Cercando in me”, “Dentro me stesso” e “Dolce amaro”. La scrittura procede in una emozionante linearità discorsiva, capace di elaborare un continuum narrativo denso di richiami e nessi referenziali inerenti, sinceri, caratterizzati da propositi impegnativi e alimentati dell’onestà con se stesso:

Chiudo gli occhi e vado oltre,

cercando in me un metro di misura.

Ma poi mi accorgo che sono ancora qui

e incomincia ad arrivare la paura.

inconfutabilmente mi ridesto dal mio solito torpore,

ignaro e consapevole di essere me stesso…

io, che ho sconfitto tutto il mio dolore,

affronto a testa alta anche il mio ultimo riflesso.

[“Cercando in me”]

Le stelle sembrano cadere

ancora adesso che guardo il cielo

cercando il ricordo di un passato,

un solo attimo in cui guardando

dentro me stesso

ho visto chi veramente ero

e chi davvero sarei stato.

[“Dentro me stesso”]

   Il punto di partenza per comprendere l’antologia, suggerirei allora di individuarlo nella tensione a intonare un canto di poesia armonico, nonché conciliatorio, sulle apparenze della vita quotidiana: esse subiscono un processo di sublimazione per poterne abbracciare la totalità. “Dolce amaro” sembra tracciare il loro percorso lungo vari stadi del sentimento umano.    Dapprima, il poeta non può fare a meno di prendere atto di una realtà non conforme ai nostri desideri:

La catena che mi lega

alla tristezza dei miei versi

mi fa capire come il margine si restringa

sempre più…

   Una prima inversione logico-poetica avviene mettendo in campo il potere consolatorio della poesia:

Dolce amaro è il pensiero,

timida espressione di qualcosa che non c’è.

   Infine, la lirica diviene rifugio dalla disgregazione dell’angoscia, del tormento, della sfiducia:

Parole che mi inebriano d’incanto,

soavi si portan via ogni pianto.

   La scommessa dei componimenti di Di Pane, nei moduli stilistici più frequenti, consiste nella libera imitazione della natura, cosale e affettiva, tipica dell’uomo, allorché il soggetto non si sovrappone all’oggetto. Al contrario, fonda le proprie radici e lascia progredire l’Io nella sua autonomia, delineando via via i contorni, le luci, i colori, le distinte presenze animate e inanimate, come la fiamma «innocua ma letale», in grado di incenerire senza distinzione follie e ricordi, pulsioni ossessive e impeti di emotività:

Gialla come il sole d’estate,

rossa come una rosa senza spine,

attira ogni mio istinto primordiale,

lasciandomi in un mare senza fine.

[“Fiamma”]

   Ogni moto dell’animo, ogni scatto di affettività, risulta in stretta dipendenza con lo status del soggetto e con il suo posto nel mondo:

Quel che resta di me stesso

galleggia in un mare di trasparenza,

come una nebbia che ricrea un’atmosfera

in cui mi trovo perso.

[“La mia nebbia”]

   La quotidianità dell’Io nel mondo («Quel che resta di me stesso») si riscopre, momento dopo momento, in atti di parola, idonei da un lato a non subire sdoppiamenti falsificatori riuscendo ad essere trasparenti, capaci dall’altro di collaborare alla ricostruzione di cose o sentimenti in vicende inedite: così, i riferimenti a numerosi livelli di significato («nel vorticar di un gelido vento di tempesta» [“Labirinto”], oppure nella lacrima «che leggera e candida mi sembra non salata») segnano il destino umano giustificandolo al contempo.

   Nelle pagine a seguire ecco i conflitti («occhi sbarrati da guerre intestine» [“Occhi sbarrati”]), il viaggio («Gireremo il mondo, / come il sole fino a sera»), l’infanzia che soffre [“Un bambino da amare”], la battaglia per il rispetto delle etnìe («Vorrei dipingere la vita di un unico colore, / che mi possa portare solo un po’ di pace» [“Un unico colore”]), l’epopea degli immigrati («e correre felice verso il mare, / mentre guardo la mia gente da lontano» [“Vivere”]).

   In tale paradigma di vocabolo-contenuto, rivolto a concepire la ποίησις (pòiesis) nelle vesti di un confronto diretto con la realtà dell’anima, emerge la figura paterna [“Quel che ho perduto”], o meglio, scrive Pierpaolo La Spina nella prefazione, «la sua “sopportazione rassegnata” anche nel non vedere un futuro roseo, ove i sogni scompaiono e l’oblio si inoltra irrimediabilmente nell’ignoto».

   Ma qui, in parallelo ad altri input autobiografici, non si distingue alcuna chiusura individualistica del messaggio, proiettato invece in un’ampia, distesa forma comunicativa: “Amore Immenso”, dedicato alla dolce compagna Ruslana, apre la serie di componimenti pensati per una eventuale, futura “messa in musica” – lo ha notato Silvana Foti nelle note critiche, parlando di «un ritmo musicale già percepibile alla lettura» – in virtù della loro struttura in forma di canzone, con parti ripetute più volte in alternanza alle strofe, quasi in una sorta di ritornello. I brani segnati da tale architettura (“Come un gabbiano”, “Dove sei”, “Il mio pensiero”, “Occhi sbarrati”, “Sono sempre io”, “Tu sei il senso”, “Un unico colore”, “Vivere”, “Vorrei librarmi”) sono perlopiù dedicati all’amore, elemento centrale in “Dentro me stesso”, e celano nel refrain la volontà di iterazione di un momento magico, la forza di una richiesta replicata, la riaffermazione di una realtà esistente.

   I versi di Renato Di Pane sono veicolo di un intervento persuasivo e travolgente nella storia attuale, con l’esigenza di una testimonianza ora commossa, ora afflitta, comunque alternativa: l’uso di un linguaggio discorsivo e suadente – con figure retoriche (τρόποι, tròpoi) di grande armonia – in nome dell’amore e della bontà, ricongiunge il verosimile, rimasto frantumato e sospeso, per mezzo della speranza e della certezza nel trionfo di un Bene a cui il nostro poeta associa, senza dubbio alcuno, anche quello della Poesia.

Cinzia Baldazzi