La migrazione affonda le proprie radici antichissime che si perdono nel tempo. Non si è mai arrestata né mai accadrà perché l’individuo è spinto dalla necessità di trovare il meglio per sé e per la propria famiglia.
Primi anni del 20° secolo: bastimento carico d’emigranti italiani, in partenza per le Americhe
Sono molti i motivi per i quali si emigra: lo studio, gli affetti, la religione, le guerre, il lavoro sono tra questi. In generale la migrazione, o emigrazione, ha una valenza positiva: un valido esempio ne sono quei padri-famiglia che hanno trovato lavoro all’estero iniziando, in luoghi nuovi, una vita decorosa per sé e per i propri cari. Sembra scontato ribadirlo, ma il lavoro non è solo una necessità ma anche un diritto che nobilita e dà dignità.
La Sicilia è sempre stata carente da questo punto di vita: si lavora tanto e si guadagna poco. Si lavora in nero e si è sfruttati al massimo. Molti nostri concittadini da anni vivono in svariate parti del mondo: America, Germania, Argentina, Svizzera, Francia, Inghilterra, eccetera. Ma tutti gli emigrati hanno nostalgia della Sicilia, degli amici, della famiglia, eppure non possono tornare qui per mancanza di lavoro.Chi resta invece sente la lacerazione del distacco dei figli, nipoti, mariti, amici. Resta la rabbia nel chiedersi il perché i siciliani, nonostante vivano in una terra così bella e piena di risorse, non riescano ad avviare un concreto piano di lavoro. Negli anni, infatti, non è cambiato nulla: oggigiorno sono tanti i giovani del nostro territorio che partono per poter guadagnare uno stipendio che permetta loro di vivere decorosamente.
Barcone d’immigrati diretto alle nostre spiagge: non tutti riusciranno a sbarcare incolumi dopo l’estenuante traversata
La migrazione come risorsa, però, diventa tragedia quando si è costretti a lasciare la propria terra per motivazioni che trascendono i propri bisogni. È il caso dei tantissimi migranti e profughi che provengono dall’Africa e dal Medio Oriente. Essi affrontano il viaggio in mare per salvarsi dall’orrore della guerra. Arrivano stremati senza possedere nulla tranne la loro preziosa vita. Non voglio affrontare l’argomento dal punto di vista politico, né voglio dare la mia opinione sui giovani uomini che lasciano la loro terra, e neanche voglio scrivere di quanto sia complicato accoglierli e accettarli, né di come alcuni approfittino della situazione.
Voglio solo dare risalto al lato emozionale immaginando di essere una donna migrante che non ha altra scelta se non quella di abbandonare la sua terra dalla quale si sente espulsa, abortita come se fosse un errore. La immagino arrabbiata perché il suo migrare, nonostante sia un’esigenza, non dipende da lei. È talmente importante che ella fugga che non le importa neanche se muore. Tutto è preferibile a rimanere lì dove c’è l’orrore. Preferisce essere un errore abortito dalla terra che una donna senza futuro.
ORME
Non sono un uccello
dal becco appuntito,
maun errore
che migra
seguendo la scia
di un’onda marina
che mi conduce
verso ignota Terra.
Lasciano orme di sangue
i miei piedi nudi:
rimarranno
all’alba
e anche
al tramonto
né scompaiono
se sfuggo da me stessa.
Estranea
in Terre di passaggio
vorrei svanire
tra le onde dell’esserci,
tra i colori del piangere,
tra i dolori del vivere.
Ma è prepotente
l’esigenza del respiro;
ho bisogno d’aria pura
per scordare
le macerie
che ho lasciato:
pezzetti ricomposti
di corpi nudi
sotto cieli sporchi
d’aria opaca,
lorda di bruttura
che
sangue
innocente
infetta.
Non mi attendono
fiori allo sbarco;
sono un errore
abortito dalla Terra,
e
cavalco la corrente
della speranza.
Non sono un uccello
dal becco appuntito,
ma
una donna errante
che anela
tre
parole
solamente:
“Benvenuta
Sorella
Migrante”.
—
Giovanna Fileccia