Oggi, giorno della Santa Pasqua di resurrezione, 12 aprile 2020, in tempo di rigore invernale dentro l’anima, per il dolore profondo e la partecipazione solidale a un lutto nazionale, in piena emergenza da coronavirus, che citiamo anche come testimonianza storica del momento che stiamo vivendo, vogliamo condurre alcune riflessioni che toccano sia la settimana santa, intesa come cammino e itinerario di preghiera e di conversione al cambiamento, per votarci totalmente rinnovati alla Pasqua del Signore con animo leggero e il vestito bianco di un nuovo candore, ripuliti dal peccato, sia il collegamento con il viaggio di Dante all’interno della Divina Commedia, in un parallelismo spirituale che trova tanti punti di contatto e altrettante pause di riflessione nell’Otium letterario, condizione necessaria per l’assorta e sistematica analisi delle due Viarum Crucis, che riteniamo di potere scorgere anche nel cammino della Commedia, per una mera speculazione escatologica ed ermeneutica. Per quanto riguarda la prima, la Settimana Santa da poco trascorsa, vogliamo fare riferimento alla Via Crucis dell’anno in corso 2020, presieduta dal Santo Padre, Francesco Bergoglio, le cui meditazioni provengono dalla Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, ad opera di 14 persone che hanno attualizzato la Passione e Morte di nostro Signore, adattandola alle loro vite. Le meditazioni, dentro al mondo delle carceri, vedono intrecciarsi le due vie, del bene e del male, e le questioni che ne derivano nello scontro di tali due realtà, nel loro aspetto reale, e in quanto entità astratte e morali che non riguardano semplicemente l’aspetto della vita quotidiana, ma lo specchiarsi dell’io, a tu per tu con la propria coscienza e le proprie colpe. Certo non è facile instradarsi in tale cammino, nell’itinerario della coscienza per coloro che si sono trovati faccia a faccia col male, da cui si sono difesi, oppure perché il male era già dentro di loro, e come spinta centrifuga che li ha proiettati verso azioni di cui ora possono pentirsi o almeno considerare di avere avuto una condotta errata, da cui può iniziare il pentimento e una nuova vita. In quest’ottica la Via Crucis di Papa Francesco, con cui oggi si conclude la settimana Santa, vogliamo chiamare il Papa col proprio nome di battesimo, in modo colloquiale per un intimistico sentirci con lui fratelli come uomini, diventa la Via Lucis. Il carcere, le sbarre perdono così la valenza di oggetti concreti e assumono la veste di mura di contenimento per l’anima, e per la sua liberazione verso il cielo, vera libertà e vera meta finale. Tutti, oggi, ci sentiamo carcerati, detenuti dentro le nostre case, dove possiamo tranquillamente svolgere tante attività, grazie anche ai mezzi che la tecnologia ci fornisce come i computer, la tv, i tablet e via dicendo. Qualcuno dirà che anche dentro le carceri i detenuti hanno a loro disposizione la tecnologia. Ma loro sono costretti a condividere la cella con altri detenuti in pochi metri quadrati. Altri diranno: Loro, lo meritano, perché hanno compiuto azioni cattive, hanno rubato, forse ucciso, hanno anche maltrattato, abusato di qualcuno. E questo sarà pur vero. Qualcuno di loro, però, magari è innocente. Altri, magari, non hanno avuto altra scelta che quella di rubare per sopravvivere, altri ancora avranno aderito alla malavita per appartenenza familiare. Di certo, la loro condizione non è facile da sostenere, e molti si saranno già pentiti delle loro azioni. Oggi, nel giorno della Pasqua di Gesù Risorto, le meditazioni dei carcerati sono un dono. Vuol dire che la parola di Dio è entrata dentro un ambiente angusto, e sta operando la conversione e il cambiamento. Sta avvenendo la trasformazione dell’uomo cattivo in uomo buono. Perché la parola di Dio scalfisce le montagne, rende fertile il deserto, placa le tempeste e ammorbidisce il cuore duro dell’uomo. Dentro le carceri l’uomo è a tu per tu con sé stesso. Un po’ quello che sta accadendo a tutti noi che, restando a casa, riflettiamo a cosa abbiamo perso, oppure a ciò che abbiamo guadagnato. Il riferimento alla Selva oscura dantesca, e all’uscita da essa è chiaro e attinente come collegamento allegorico-simbolico di cui il Sommo Dante è maestro, nella sua chiave spirituale, per un rinnovamento non solo del singolo uomo, il carcerato, Dante stesso, ma dell’intera condizione umana generale e condivisa. Generalità e visione unitaria dell’uomo, come elemento che fa parte dell’interezza cosmica. In una cosmogonia, dove, l’entità unitaria fa parte del disegno divino, come il singolo puzzle fa parte del quadro, e solo nell’unione realizzata, è visibile l’intero universo- cosmo, e la volontà divina. Vogliamo fare il parallelismo tra la Settimana Santa che abbiamo vissuto in questi giorni, e che oggi culmina con il Trionfo dalla morte del Signore con la Pasqua di Resurrezione, e la Settimana Santa dantesca con cui oggi si conclude il Dantedì Puntuale del 4 aprile 2020, data in cui abbiamo onorato l’anniversario dell’uscita di Dante dalla Selva oscura, nel lontano 4 aprile 1300. L’avventura della Divina Commedia è ambientata proprio nella Settimana Santa del 1300, dunque dal 4 al 10 aprile del 1300. Grande scoperta del CLSD, pubblicata fin dal 1994 anche sui bollettini del dantismo internazionale. Ma, possiamo parlare della Settimana Santa dantesca anche in termini di Via Crucis, come morte e passione di Cristo nell’uomo Dante, nel suo cammino verso Dio? Di Via Crucis di Dante, nel suo itinerario interiore, come un uomo che via via si spoglia di sé stesso e diventa sede di verità e di conoscenza? Certamente possiamo dire che la Via Crucis non è semplicemente un susseguirsi di cadute dell’uomo nel suo procedere verso il Golgota, dove la Passione ha il suo apice con la crocifissione e morte di Gesù, cioè solo il calvario che si esplica nella sua massima, drammatica violenza. Nella struttura “narrativa” della Commedia, noi riscontriamo anche la Via Crucis dell’uomo, come vicenda interiore di un individuo che è oppresso da un dissidio interiore, da un travaglio dell’io che assume, poi, un valore universale. Nella via conoscentiae e nell’avvicinarsi dell’uomo a Dio c’è il parametro e il paradigma del rapporto dell’intera umanità con Dio. Dentro l’uomo, nel suo modo di analizzarsi, perché si sente appesantito dal peccato, nella ricerca dell’io, dell’equilibrio nella lotta tra il bene e male, e il pentimento conseguente che ne deriva, nel tortuoso torturarsi internamente c’è, a parer nostro, anche la passione dell’uomo singolo, dell’uomo universale, e anche dell’uomo Dante, la ricerca nella Via Crucis della Via Lucis che Dante cerca dentro di sé, cammino della Commedia anche come percorso alchemico, nella ricerca di sé stesso, dell’uomo. Sotto questo aspetto l’itinerario di Dante, è Via Crucis scandita da tre tappe, Nigredo (Inferno), Albedo (meditazione, Purgatorio) e Rubedo (Trionfo delle Virtù, Paradiso). Un itinerario simbolico che avviene, soprattutto, nell’interiorità umana, volto al ritrovamento di sé stessi, allo scrostamento della corteccia del corpo per ritrovare l’anima nuda. In tal senso, l’inferno è il processo della putrefazione dell’Ego, lo possiamo chiamare: La notte oscura dell’anima. Lo smarrimento nella Selva, ma non il perdersi, ma la volontà dello Spirito di tuffarsi nelle tortuosità, e nell’intreccio degli interrogativi e delle questioni spirituali, in piena volontà di affrontarle, per dissolvere i preconcetti ed estirpare finalmente le erbacce. L’uccisione dell’uomo vecchio per il nuovo. Il Nigredo dell’interiorità, in Dante uomo, è nell’inferno. Lo smantellamento che sgretola le certezze-ombre per rinascere e risorgere. Ma per rinascere, l’uomo, deve prima morire nell’Ego. Da questa prima fase in cui l’io si spoglia della sua vecchia veste, l’anima può continuare il suo cammino di purificazione nell’Albedo, che nella Commedia è nella meditazione del Purgatorio. In questa fase, l’anima si libera dai lacci della corporeità, e diventa consapevole delle sue possibilità spirituali, che procedendo per gradi, è il risveglio dell’uomo, dell’anima che era sopita dentro l’individuo, cioè l’affermazione di sé e la forza matura raggiunta, che conferisce all’uomo-anima la certezza di poter raggiungere l’obiettivo, inizialmente offuscato, solo dubbioso, e che ora ha raggiunto altissimi livelli di consapevolezza di potercela fare. L’oscurità ormai è lontana. L’ignoto diventa sicurezza del raggiungimento della luce della conoscenza. Ma questo ancora non basta. Occorre che l’io, l’ego si dissolva nello spirito, con la piena consapevolezza di essere, ora, nell’ultima fase dell’interiorità che sublima. Il Rubedo è il cerchio che si chiude, nell’unione degli opposti, nell’Unicum di creatura che rinasce dalle proprie ceneri. Inizio e fine si uniscono. La creazione incontra la creatura. La Rubedo nella Commedia è rappresentata dall’ingresso di Dante nel Paradiso, nel suo incontro con Beatrice, e nel trionfo delle Virtù. Come non associare, questo percorso alchemico nella Divina Commedia alla Via Crucis, come cammino ed esplicazione dell’io rinnovato e rinato, dopo il dissidio interiore di una lunga tortura, per poi risolvere le sue questioni spirituali con la vittoria del bene e la rinascita dell’homo novus, dopo l’incancrenirsi e la putrefazione della carne e la seguente Resurrezione dell’uomo in generale, in ognuno di noi, nel carcerato, in Dante e nell’uomo – Cristo? Oggi, giorno di Pasqua di Resurrezione 2020, dentro ognuno di noi rinasce l’Homo Novus, il Cristo, con cui onoriamo e chiudiamo il Dantedì Puntuale del 4 Aprile 2020.
Dorothea Matranga
CHE IL VELTRO SIA SEMPRE CON NOI