IL PASTORE DI ROGHUDI
Il vento non è più musica, adesso.
Taglia rughe secche e profonde,
sferzando il bruciore di ogni lacrima;
mi parla questo silenzio.
Un rantolo accompagna lo sguardo attonito;
trasalisco allo scricchiolare del terreno
sotto i passi circospetti e incerti:
qui un tempo sorgevano eroici vigneti.
Vago.
Non ho meta fra le nicchie d’ombra fitta
che avvolgono i vicoli diroccati;
perso nel nulla cerco tracce del mio passato,
di quei giorni prosperi e lontani,
dissoltisi quando la mia anima
venne scaraventata in un crepaccio.
Nell’oscurità vorrei scorgere i riverberi
di pietre abbaglianti che rischiaravano le notti
e ascoltare il lontano propagarsi
della voce della fiumara…
Cicale.
Il loro canto si univa ai campanacci delle capre
e mi crogiolavo in quell’alchimia di suoni:
dov’è quel paese immenso fra cielo e terra?
Sospeso su questo dente di roccia
fisso la valle incisa e ferita
dal tumulto impietoso delle acque;
nel buio che incede resto in attesa
di una vita che non tornerà.