Il sospiro del Daimon: “La vita nascosta” di Felice Serino
(a cura di Sabrina Santamaria)
L’anima poetica decanta i suoi versi con espressioni sublimi e soavi. Alcune allitterazioni e anafore costituiscono una dolce sinfonia che suggerisce al lettore una sensazione di morbidezza. Il poeta Felice Serino è un autore presente nel panorama della letteratura nazionale e internazionale da circa mezzo secolo; l’originalità dei componimenti del nostro poeta è un sospiro ineffabile, in alcuni versi era come se stessi origliando il canto eterno di serafiche espressioni; molte poesie in “La vita nascosta” donano la piacevole sorpresa di rimanere sospesi a mezz’aria e tendono la mano al lettore per varcare le trasognate porte dell’infinito, uno degli scopi di questa raccolta poetica, ricca di significati e contenuti, è quello di creare estraniare il lettore dal nostro consueto mondo, regime del pratico inerte. Il titolo stesso dell’opera “La vita nascosta” ha molteplici chiavi di lettura; l’uso dell’articolo determinativo conduce all’estasi in cui la candida figura retorica della personificazione della diviene essenza vitale, alito e soffio dell’amplesso del vivere; fra l’altro, il poeta fa riferimento ai sostantivi singolari per farci comprendere che la verità risiede nell’Assoluto(“scrivere la luce inginocchiato nella luce inspirando bellezza ch’emana come da un tempo altro/ pure ami la luce ferita: chiedile delle infinite crocifissioni fattene guanciale in notti di pianto”- “Chiedilo alla luce”, pag 31) e non nel mero e sterile relativismo in cui il pensiero di massa si perde nel fagocitante conformismo dunque la Somma realtà trova l’epicentro nella singolarità, nell’Uno: “girovagare tra luminarie e vetrine ti richiamano all’incanto del bambino mentre ti lacera dentro la morte del clochard sotto i portici nel gelo” (“Fine anno”, pag 26), . L’aggrapparsi violentemente ad una dimensione eterna è la peculiarità del nostro poeta, colui che soffre prendendo le distanze dalla società odierna che propone o il nichilismo dell’io o l’elevazione dell’uomo a divinità: “ricusi l’abisso capovolto intriso del Suo sangue/ dall’orlo della luce ti distanzi in vaghezza dell’effimero/ vanagloria leva al cielo un pugno d’aria”( “Blasfemia”, pag 32); dalla lettura di questa silloge trapela un certo temperamento dell’autore, un uomo da un forte equilibrio interiore che ricerca la pacem in terris con il creato, con il cosmo e con gli esseri umani. La scelta dello stile libero senza rime e schemi metrici nell’opera poetica si addice molto al sentire dell’autore che si eleva a voli “pindarici” però Felice Serino compie una catarsi e una liberazione dai suoi istinti di morte tanto è vero che le sue liriche partono con l’esplorazione degli abissi negli inferi e raccontano delle profondità più nere infatti le prime poesie puzzano del tanfo fetido di una decomposizione dell’animo, è come se il lettore fosse condotto nell’imbuto infernale dantesco e dai vari strozzati enjambement si odono le grida di Cerbero e la puzza di zolfo tuttavia lo smarrimento del poeta non è reale, ma solo figurato quindi l’esodo è interiore. Il travagliato viaggio si evolve e cammin facendo i latrati si tramutano in canti e inni alla bellezza, sulle prime le odi descrivono con fierezza l’immagine dell’immanente per poi giungere, come in una sorte di dialettica hegeliana, allo Spirito Assoluto, all’Apeiron, all’Archè; si schiude il varco alla visione della scala di Giacobbe, Felice Serino gradino dopo gradino si appresta all’eterea sostanza cosicché all’apice le liriche solenni di “La vita nascosta” giungono a un train d’union o a una liaison con l’Eterno che fa breccia al miracolo più grande ossia la Salvezza e la Crocifissione del Cristo e su questi due capo saldi si fonda buona parte della vena poetica di questo scrittore il quale è sempre lesto a caldeggiare infiniti mondi possibili attraverso le sue fervide ispirazioni a volte, anche, strettamente intrecciate a dei sogni o a delle visioni che vengono tenacemente narrate e descritte in taluni casi facendo molto leva sull’astrattismo e su Kandinskij o in altre circostanze si rende omaggio e onore a scrittori che ci hanno accompagnati nelle vicende storiche del secolo scorso come Montale, anche se Serino si ispira a “Ossi di seppia”, e crea un parallelismo fra l’aridità spirituale e l’immoralità in cui è scaduto l’uomo contemporaneo e la metafora montaliana dell’osso di seppia però Eugenio Montale fa molto riferimento alla eventuale cristallizzazione della figura poetica in cui si propina una crisi profonda del letterato. “La vita nascosta” è un tuffo nei meandri dell’infinito e dell’eternità, è un tentativo molto azzeccato di solleticare con la punta della penna il demiurgo platonico oltre, però, il fantomatico mondo delle idee, infatti siamo al confine di una deus ex machina in cui il canto poetico pizzica le aulenti note di un Daimon segreto e misterioso.
Sabrina Santamaria