Quintessenza
Apro gli scuri.
Entrano raggi
finora con(te)nuti.
Ombre che si dissipano alla luce
diffondono improvvise sensazioni.
Nulla è più come prima;
soli(tu)dini senza speranza
trovano simili(tu)dini
nella molti(tu)dine di idee
che riprendono gli spazi liberati
dopo una lunga, faticosa guerra
con me stessa.
(Ri)nasco senza una madre
che mi metta al mondo,
priva di un vagito
che esplori i sentimenti
che circondano le volte del tempo.
Mi ritrovo silenzio
nel suono di una carezza
raccolta tra i ritagli
di un tempo che sorride
da una foto.
Malia di sguardi
m’incatenó all’abisso.
Scioglimi con lo sguardo
dai fondali coglimi
spugna
gemma d’anemone
corallo.
Svirgola d’emozione sulle labbra
rincorrimi il sogno.
Sii primavera, estate
e poi sii autunno.
Torna, come la neve,
alito d’ inverno
che si distende sulla mia radura.
Semina umanità
raccogli il pianto
nutrimi
come zolla
arsa dal deserto.
Nel tempo dei dolori
spensi nella notte i sogni
smisi ogni preghiera
inabbissai speranze;
spinta nella tempesta
naufragai.
Canta di resilienza
la mia ghiandaia,
scrolla serena l’ala
accenna un battito
si libra in volo
certa del suo orizzonte
e dell’albero dai cui rami
pendono allineati a sera
tutti i suoi giorni.
S’alza luna di desideri
che disegna stelle
tra le rime
e i versi liberi del cuore,
che è tetto che ripara
casa che accoglie
desco che ristora.
Ultima tua
terrena
fragile
dimora.
Amarti mi ritrova
nei miei passi
arrampicati alle ginestre
del tuo petto
dove l’abbraccio fu radice
e la promessa
di ritrovarmi ali.
Sono di pietra levigata, liscia.
Il mio silenzio
scivola sulla pelle
senza lasciare
i segni dell’assenza.
Francesca Falco ©