Orazio Greco è nato a Catania nel 1977.

Alla precisissima età di due anni gli viene diagnosticato il diabete tipo 1.

Dopo aver seguito tutto l’iter scolastico e conseguito una laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Catania, decide di emigrare per ragioni lavorative e reinventarsi in Australia, senza tuttavia mai slacciarsi dalla sua amata Terra, la Sicilia.

Ad oggi, combattuto da un profondo dissidio, continua a fare la spola tra queste due isole “così lontane e vicine”.

“Tra Petali e Spine” edito presso Billeci è il suo terzo libro. Sono già stati pubblicati presso la stessa casa editrice “Seduzione e Dissidio” (2019, silloge di poesie) e “Il Rumore dei Ricordi” (2019, autobiografia in prosa poetica).

le sue poesie

Una vertigine di nostalgia

(da Seduzione e dissidio)

Quando il sole si spalanca superbo

in tutto il suo splendore

nell’ore d’inerzia del meriggio

non trapela rumore,

e nelle stradine spadroneggia

solo il silenzio indisturbato.

Mi piace andare a zonzo spensierato

seguendo l’ombra odorosa

dei davanzali rallegrati

da gerani e gelsomini

tra archi, cortiletti e balconate,

vicoli stretti come dedali incantati

che di colpo s’aprono con affacci mozzafiato

sui faraglioni frastagliati

e sull’Etna non lontana.

Mentre tutto tace

si sente solo il lento gorgoglìo dell’acqua

d’una vecchia fontana che stanca si ripete

nella sua musica secolare.

Poi, quando il cielo s’oscura

nel prezioso santuario della sera

dal mare sale una nuova frescura  

e l’aria s’insapora d’alghe e spuma.

S’ode il sommesso brusìo

delle donne sedute agli usci a ricamare,

un manipolo di monelli schiamazzano

scorazzando allegramente alla rinfusa,

mentre gli uomini seduti in crocchio

intenti ad una briscola, o a dissertare.

Adesso

mi sorprende uno stringimento di cuore

una vertigine di lontano e perduto stupore,

ed ecco che i ricordi si riverberano

già spruzzati d’un inguaribile nostalgia.

Ero felice dopotutto,

anche se allora non lo sapevo.

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E la memoria

Tratta da “Tra Petali e Spine”

(27 Gennaio, la Giornata della Memoria.

Per non dimenticare)

Dietro quei fili spinati,

lo sterminio di vite oltraggiate,

merci umane ammassate

nei più laidi vagoni di bestiame,

sagome strette, fredde, nude,

stipate in uno spoglio stanzone

di docce menzognere,

le teste rasate a sangue

restavano ignare ad aspettare

l’ingannevole misericordia

di potersi lavare,

ma dalla morsa

d’un velenoso vapore

venivano asfissiate

senza remissione,

e spietatamente trucidate

dall’atroce ferocia

d’un regime infernale.

A noi, qui,

oltre i campi di detenzione,

solo un nero silenzio rimane,

un silenzio desolato

risonante di disperazione,

un silenzio vuoto, saturo di dolore,

un silenzio gravoso

deturpato dall’acre odore

di carne e cenere.

Carne diversa,

denegata d’ogni dignità

finanche del nome,

carne colpevole

d’esser di stirpe impura,

carne spenta lentamente dalla fame

dagli stenti e da ogni abietta tortura,

carne rasa e arsa in cenere

dalle fiamme dei forni crematori,

infine gettata

nei raggelati asfalti delle strade,

per non far scivolare

i passi frettolosi

di chi voleva non sapere,

per non far scivolare

i passi impassibili e disumani

degli ariani:

politici criminali

e persecutori razziali.

A noi, qui,

oltre i campi di detenzione,

solo un nero silenzio rimane,

un silenzio miserevole

ai limiti d’ogni sopportazione,

un silenzio spaventoso

dal quale non si può più scappare,

un silenzio insepolto

in un terrore senza requie,

un terrore che nel cuore

continua ancora a sanguinare!

A noi, qui,

oltre i campi di detenzione,

solo un nero silenzio rimane

e la memoria,

la memoria per non ricadere

nelle voragini truci della storia,

la memoria per sopravvivere

all’orridezza insensata di tanto male,

la memoria per non essere schiacciati

dal macigno d’un massacro

che non troverà mai pace

né redenzione,

la memoria per non morire,

ancora.

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La fragile grazia della zagara di Orazio Greco

(Inedita)

Alle braccia tue

tornerò

a chiederti perdono,

Terra mia,

e cercherò

tra le crudeli spine

trafitte nel tuo corpo,

le radici tue estirpate,

il passato tuo tradito,

la tua identità mortificata,

martoriata

dall’avida bocca blasfema

di chi conduce il tuo timone

alla deriva politica e culturale,

desideroso

di spogliarti e possederti

senz’alcun amore!

Tra i ruderi tuoi sopravvissuti

avanzerò

Terra mia,

speranzoso di ritrovare

le sontuose tue vestigia

fervide d’arte,

scampate agli artigli

del lupo prodigo di sole parole

che vorace s’aggira

negli ovili depredati,

vessati

da improvvidi pesi

e da mille macigni intrisi

dalla stoltezza di sopprusi,

angherie e sopraffazioni!

E scorgerò

superstite

nei tuoi gloriosi giardini in rovina

il violetto cardo puntuto

che dalle arsure si fa spada

sotto un cielo che non muta,

e indefesso s’infiora

in un’arida terra assillata

dalle sterili sciare del malaffare,

e dall’afa d’un inflessibile sole

che adesso stanco si duole

offuscato dall’acre grigiore

d’un conclave

d’ingannevoli nuvole!

Alle braccia tue

munifiche e dissanguate

tornerò,

a chiederti perdono,

Terra mia,

e cercherò di ritrovare

la corona tua crinita

d’illustri diademi e nobili allori

deturpati

dagl’inferi silenzi delle lave

e dalle canicole della corruzione,

che ascose serpeggiano

tra le crepe corrotte

di ruberie e malversazioni,

perpetuando quelle piaghe secolari

che fallaci intingono il tuo candore

d’un’irredimibile dannazione!

E riesumerò

i tuoi templi battaglieri

rimasti in piedi

umiliati,

ammutoliti,

stremati a sfidare le ingiurie

di corrotti uomini mendaci,

cavalieri ingordi

dei tuoi ancestrali tesori,

infidi paladini senza onore

bramosi di solo potere,

ìmprobi e rapaci

nell’accapararsi ogni tuo bene!

E disseppellirò

la prestigiosa storia

del tuo nobile passato,

dilapidata

dalla presa ossuta

di miserabili mani voraci

e senza vergogna!

Senza più remore

né timore

scarcererò

la tua identità, il tuo pudore,

il tuo orgoglio oltraggiato

e la tua antica luce,

la luce tua esecrata

da pravi disertori,

torbi ladri libidinosi

di bellezze secolari!

Ma resterò disilluso

allorquando sorbirò

l’amaro tuo sapore

asciugato

dalle salse lacrime del mare,

un resilente mare

ove imperterriti combattono

i millenari profumi

della tua insigne cultura!

E negli orti tuoi trucidati

dalla morsa sanguinosa

d’un’aberrante incuria,

forse potrò

un giorno rivedere

rinnovarsi in un verde vigore

la fragile grazia della zagara

che rifulge ancora

nei trionfi dei suoi profumi,

e forse potrò finanche risentire

un’eco del tuo eroico sorriso

sfolgorare vittorioso

tra i nuovi germogli

delle tue antiche,

prodi radici.

Terra mia,

ti troverò?

© Orazio Greco

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