LA FESTA DEI MORTI

Quando ero piccola aspettavo con ansia la festa dei morti.Ora vengono i morti – diceva mia nonna – e ti portano ” a pupa di zuccaru”.I pupi di zucchero sono delle statuette cave realizzate interamente con lo zucchero. Riproducono i paladini siciliani o figure generiche maschili o femminili . Ancora oggi ci sono. Non hanno perso la loro bellezza ma parte del loro valore. Io ovviamente credevo alla nonna, intanto perché ero bambina e poi perché aveva un modo dolce e persuasivo di parlare. E così ogni anno, il 2 Novembre, aspettavo i morti sperando in qualcosa di più della pupa di zucchero. I morti erano per noi, bambini di quegli anni, come il Babbo Natale per i bambini di oggi. Non sapevamo da dove esattamente venissero ma li aspettavamo con ansia senza averne paura. Io una volta, spinta dalla curiosità di vederli e conoscerli, volli dormire a casa della nonna. Lo facevo spesso, ma quella volta il mio intento era di stare sveglia tutta la notte, fare finta di dormire e coglierli in flagrante. Ovviamente non è che feci finta di dormire… caddi in un sonno profondo, come al solito, e non ne capii lo stesso nulla. Non sentii nemmeno il solito bacetto che ogni mattina la nonna mi dava, passando dal mio lettino. Un passaggio inevitabile. Dormivo nella saletta dell’ entrata dove c’era appunto un divano lettino, sceglievo di dormire lì perché adiacente c’ era la stanza da letto e quando la notte mi veniva la paura del buio andavo subito a posizionarmi al centro del lettone dei nonni. Era la nonna ad aprirmi le coperte ma era il nonno a parlare, mi diceva ” Ma cu si?” Come se aspettasse qualcun altro.E io rispondevo ” Io nonno…” E lui puntualmente “Io chi?” Come se non mi riconoscesse.” Io Rosanna.”E lui ” Chi? La babbaredda da me casa? Poi la nonna interveniva e mi diceva” Dormi a nonna, un ci dari cuntu ” Il nonno lo faceva per farmi prendere coscienza che anche nel buio eravamo sempre le stesse persone, anche di giorno mi chiamava ” la babbaredda da me’casa ” ( la piccola della mia casa) e quindi perché avere paura? La nonna lo sapeva e stava al suo gioco. Non ho più paura del buio, forse perché ora le paure sono altre, più brutte. La nonna dicevo, doveva passare da lì per andare nel soggiorno dove la sera prima, sotto i nostri occhi, aveva preparato i cesti di vimini. Un cesto per ogni nipote che quel giorno sarebbe passato di lì a ritirare i doni dei morti. I cesti non è che potevamo portarceli a casa “Dove, altrimenti,i morti avrebbero messo i doni l’ anno successivo?” Diceva la nonna. Nei cesti trovavamo noci, castagne, mandorle, caramelle, qualche paio di calzini e la pupa di zucchero. Alcune volte anche la frutta di martorana, preparata con la pasta di mandorle. Non erano grandi cose ma eravamo felici, c’ era l ‘ entusiasmo della festa ed è un peccato che gli odori si possano raccontare ma non si possano far sentire, perché io quell’ odore ancora lo sento, è un odore che sa di dolce amore. Un odore di zucchero, di meravigliose sensazioni, di cose veramente preziose, di valori autentici, di affetti reali, l’ odore di casa dei nonni fatto di camicie pulite rammendate e stirate, di grembiuli vecchi per stare a casa e grembiuli nuovi per affacciarsi a prendere il latte, davanti la porta , che il mugnaio lasciava ogni mattina, in fiducia. Un odore di cose belle anche riclitate, odore di un tempo dove niente si buttava, persino il sacchetto di plastica della pasta veniva conservato e utilizzato come contenitore per gli alimenti. Niente andava perso, a cominciare dal rispetto per le persone, per le cose, per le tradizioni. A pupa ri zuccaru (mia nonna la chiamava così, altri al maschile) era il simbolo della festa, il cavallo di battaglia, e l’avevamo tutti di forma e dimensione diversa. Io, una volta , mi sentii la più fortunata di tutti, avevo trovato il cavaliere con tutto il cavallo e dicevo a tutti di guardarlo ma era sempre la nonna a sembrare la più stupita di tutti. Lei che magistralmente aveva preparato tutto, si mostrava meravigliata e ci chiedeva ” Ma questi morti che cosa vi hanno portato? E noi, ingenuamente, le mostravamo tutto. ” Guarda bene, sotto le castagne c’è qualcos’altro…. “” Vero, nonna ci sono un paio di calzini rosa. Che belli che sono!” E dopo aver mangiato caramelle, cominciavo a rompere la pupa, però attenzione, mangiavo, e non tutta in un una volta, solo la parte retrostante , quella che non era colorata. La parte che descriveva chi rappresentasse la pupa la mettevo in vetrina davanti ad un bicchiere che mi serviva d’appoggio. E molte volte rimaneva lì perché era un peccato romperla. I pupi ri zuccaru delle mie sorelle restavano, spesso, intatti fino all’anno successivo e poi venivano sostituiti dai nuovi arrivati dai colori più vivi e dalle forme differenti. “Nonna i morti passeranno ancora da qui l’anno prossimo?””Pensa solo a ora. All’anno prossimo ci pensa Dio.” Dici bene nonna, ci pensa Dio… a tutto . Io nel frattempo mi tuffo nel tuo ricordo che mi suscita tanto amore, tanta tenerezza e qualche lacrima di nostalgia. Avrei tanto bisogno di te.

Rosanna Badalamenti

Pupi di zuccaru
Frutti di pasta reale