ATAVICO AMPLESSO, NELL’EDEN SÌ PERDUTO

Dall’alito sorgivo,
nasceva Adamo, su terra consacrata.
Dalla sua costola predetta,
s’innalzò Eva, appariscente, immacolata bellezza.

Tra i lillà, soggiacevan alla vita; prorompenti e innocenti, le lor caste nudità. Compagni d’avventura… O di sventura, per l’arbitrio di chi non avea pari alcuno.

Silenzio in scaglie,
negli anfratti del seno prescelto,
fra costante rumor di fauna sibillina
e flora abbarbicata, ch’odorava persino nei colori.

Acqua adamantina, di purezza straripante. Quasi giardin del cielo, quell’Eden acquisito e primordiale… Singolare riflesso d’eccelso Paradiso.

Tra fronde verdeggianti e frutti sconosciuti, avean casa viscide serpi velenose.

Fra cosce candide di donna, divenute esasperate, strisciava, il vile ingannatore, scatenando qualcosa d’inconsueto,
oltre alla percezione del pudore.

Di sangue, s’infradiciaron le di lei gambe.

D’istinti d’altra specie, esagitò Eva, ch’ignuda si sentì, fin a coprirsi con la foglia d’un tenero virgulto. Negata, quella mela che porse al prediletto Adamo, che la seguì, privo d’obiezione.

Tremolii, su primitive labbra consenzienti, dischiuse,
nello sfiorar d’un cristallino bacio, seppur prologo d’ulteriori eccessi fattisi irruenti.

Tra oleandri e rampicanti,

betulle e piante sempreverdi, gli olezzi dei roseti inebriavano l’olfatto.

Parossismi equipollenti, nei lor sensi ossessionati. Sguardi impertinenti
supplicavan il coraggio,
per quegl’istinti di cui non erano coscienti.

Coperti dal primigenio cielo, vermiglio, nei riflessi conturbanti ceduti al mare, nel suo ospitar il sole e i suoi colori rosseggianti, nell’imbrunire, sì posto a ventaglio,
il femminile corpo seducente e nudo.

E nell’atavico amplesso sconsacrante, dacché non eran sposi consacrati, godeva, il serpente, nella sua spira avviluppato, nel mentre ch’il sole perdeva i suoi appigli, calandosi nell’acque divenute turbolente.

Ma s’oscuraron cirri, su di loro, forgiando nubi di carbone.
Si coprì il cielo,
delle tinte della rabbia e d’impotenza, scatenatesi all’indegno tradimento.

Poi giunse il tuono, nell’ira del Creatore palesato, lor Dio Padre, che li additò a spergiuri e stolti peccatori, sancendo pene gravi e pianti disperati,
per l’avventata Eva e il suo compagno Adamo.

Nel sospiro, che dal petto s’immolava, s’arrancava il pentimento, valicando il confine di tal Eden
sì perduto e benedetto.

D’uno sguardo dissonante,
si vestiron i lor occhi già cacciati e maledetti. Artefatte, la bellezza e la purezza,
ai compagni di condanna e di dolore…

Stranieri a quel giardino, nel lor errar nel mondo ignoto, alfin conobbero le vesti.