Il tempo, adesso, non è più lo stesso. Non ci sono più le attese del fine settimana, non ci sono più i giorni diversificati dagli impegni: la palestra il martedì, il corso di fotografia il lunedì, il caffè con le amiche il venerdì, la piega dal parrucchiere il sabato; non ci sono più appuntamenti fissi, solo l’appuntamento costante con i propri pensieri, con le proprie paure, con i propri dubbi.
Non mi interessano più gli orologi, ne posso fare a meno. Mi basta seguire l’istinto e regolarmi con il ritmo della luce e di tutti i suoi chiaroscuri.

Il tempo è sempre stato un vecchio tiranno che ci ha costretto a correre, a fare scelte e a dover trascurare spesso ciò che più ci piaceva, ci interessava, ci attraeva o che ci avrebbe fatto stare meglio… ma non c’era tempo per tutto questo, solo il tempo dei doveri: doveri verso il lavoro, doveri verso chi aveva determinate attese su di noi.
Ma adesso, adesso che il tempo appartiene al coronavirus, si è dilatato, trasformato, rallentato, impigrito. E’ un tempo che ha tutto il tempo di fare ciò che vuole, di scrivere, di dipingere, di cucinare, di sfogliare fotografie e ricordi, di resuscitare nostalgie.
Ma è un tempo insapore, un tempo vigliacco, perché ancora una volta ti costringe a fare i conti con lui, ma questi conti non tornano mai: è sempre lui che imbroglia le carte.
Ebbene sì, adesso ho il tempo di impastare il pane, di vedere quel cumulo di farina trasformarsi sotto le mie mani in qualcosa di fragrante, o di trasformare un intruglio in un dolce ben gonfio , pronto per essere fotografato ed esposto su fb… già, fb: il nostro nuovo interlocutore.
Eppure, scavando dentro di me, scavando con lacerante verità, scopro che non mi interessa saper fare il pane, non mi interessa saper fare un dolce, non mi interessa leggere quel libro posato sul comodino da mesi perché non avevo avuto il tempo di leggerlo.
Non mi interessa tutto questo perché è altro quello che davvero vorrei poter fare se questo tempo fosse diverso: andrei, per esempio, da mio nipote per vedere come ha imparato a stringere i giochi e come ha imparato a richiamare l’attenzione su di sé, gli racconterei di me e gli canterei infinite filastrocche.
E poi andrei a cercare conchiglie: ancora non ho finito di riempire la boccia di vetro comprata appositamente…non ne ho avuto il tempo.

Nonostante in questo tempo del coronavirus si viva insieme ai propri familiari, in una sorta di felice connivenza e convivenza che spesso però fa scattare correnti elettriche pronte all’incendio, ecco, nonostante non si viva da soli, campeggia intorno a me la solitudine.
Forse sarà il silenzio costante o, per meglio dire, la mancanza di quei suoni e rumori che davano vita alle giornate, forse sarà la lontananza dalle persone care e dagli amici, la lontananza da tutte quelle piacevoli abitudini che riempivano la giornata, forse sarà la paura di continuare ad avere sogni perché stavolta i sogni possono cozzare contro un muro e sfracellarsi miseramente al suolo in mille pezzi…per tutto questo e per altro ancora, sento tangibile la solitudine.
E la avverto anche guardando il palazzo di fronte, pieno di finestre inanimate e poche luci accese, la avverto guardando tutti quegli oggetti che avrei utilizzato se fossi riuscita a vivere l’inverno pienamente: un ombrello, un impermeabile felpato, gli stivali. Perché il tempo dell’inverno se ne è andato via così, come un ladro; ma so già che allo stesso modo se ne andrà la primavera senza che mi sia rimasto un solo suo profumo, un solo colore, un solo respiro.
So già che arriverà l’estate e mi troverà impreparata a vivere il suo tempo.
Ma avrò il tempo per imparare a disegnarla diversamente.

UN TEMPO STRANO

E’ solitudine questo tempo strano
che spezza i sogni e le speranze:
solo nebbia sui passi.

Palma Civello