Il brulichio di catene nascoste: “Una donna in gabbia” di Antonella Polenta

(di Sabrina Santamaria)

Il decorrere della nostra vita si snoda  come la bobina di un nastro contenuto in una video cassetta, a volte la pellicola si aggroviglierà e incespicandosi il film dei nostri attimi vissuti si bloccherà non permettendoci di proiettare i fermo immagine degli atti successivi; questa apocope immancabilmente ci crea uno stato d’ansia che, spesso, noi non sappiamo gestire, immortalandoci in cristallizzati granelli di sprazzi vitali noi diveniamo statue di sale infatti così in questo susseguirsi nella nostra prospettiva il presente sarà flemmatico e il futuro inconsistente. La parcellizzazione dei nostri anni, spesso, mortifica la nostra essenza vitale, incatenandoci in prototipi di esseri umani massificati e massificanti e trascuriamo il significato più intrinseco di un termine tanto usato e usurato, ma difficilmente conseguibile nella routine quotidiana: la  libertà. Da queste riflessioni ante litteram l’autrice Antonella Polenta si impegna a scrivere e partorire una maieutica socratica di pregevole merito come “Una donna in gabbia”(edito da Bertoni editore); apparentemente, dai primi capitoli, potrebbe sembrare una storia comune narrata da  Alina, una giovane laureanda nella facoltà di Farmacia a Roma,  la quale ha una sorella maggiore, Agave.  Il contesto storico-culturale è quello degli anni ’70, definiti dagli storici “anni di piombo” per i numerosi fenomeni di stragismo politico  che si sono verificati. Le due sorelle vivono un ambiente familiare borghese ammantato di idee stereotipate e di modelli preconfezionati e impacchettati “pronti per l’uso”; non reagiranno allo stesso modo in risposta a questo stile educativo, infatti Alina si comporta in modo conforme ai precetti paterni che non ammettono repliche mentre Agave incarna la ribellione giovanile sessantottina, ella è colei che si opporrà alle scelte precostituite del sistema perbenista dell’epoca, a volte anche a caro prezzo. Entrambe avevano letto “Il manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels, solo che Alina era perplessa e scettica sulla concretizzazione dei principi comunisti invece Agave si identificava pienamente con le idee del partito comunista italiano. La voce narrante cioè  la sorella minore si trova recisa, rinchiusa  dalle imposizioni familiari e sociali, la nostra protagonista vive in  una “gabbia d’oro”, incatenata in un recinto ella si trova invischiata  e impantanata  in una palude, come se stesse sprofondando  nelle sabbie mobili senza una via d’uscita oppure come se si trovasse in un tunnel senza  una via di fuga, Alina  non intravede uno spiraglio di luce nella mentalità oscura e gretta allora decide pirandellianamente di lasciarsi vivere permettendo che l’altro, un “qualunque altro” decida al posto suo.  Agave ( il suo nome deriva da un determinato tipo di pianta grassa) è l’esatto contrario, ella la ragazza di ventisei anni che non si dà mai per vinta, la sua “lotta di classe” è animata da ardore e zelo giovanile, in guisa di questa Jean D’Arque dei figli dei fiori, Antonella Polenta si schiude il varco per romanzare  sulle scorribande sessantottine  dei giovani sostenitori del Comunismo o del fascismo( un esempio sono stati i “gruppi universitari fascisti” o Guf ancora oggi ricordati) la presenza di Agave nel romanzo costituisce l’azione genuinamente  istintiva del donarsi al mondo, alla vita, all’altro come essere al mondo totalmente diverso, invece Alina è rinchiusa nella sua sfera minimalista: la sua casa, la sua stanza, forse è concentrata nel suo Io ipertrofico? Soprattutto  nei primi capitoli vive uno stato di chiusura di pensiero che costituisce la sua “gabbia mentale” impreziosita dalle agiate condizioni economiche.  L’ambiente narrativo catapulta le riflessioni  del lettore sul delitto di Aldo Moro e sulla morte del giovane Peppino Impastato avvenute durante il fervore della nascita delle “grandi ideologie” e dello schieramento dei due partiti politici: i Comunisti e la Democrazia Cristiana. Di rilevante importanza sono le sequenze dialogiche intervallate nel romanzo che contengono delle meritevoli dissertazioni che sono  state disquisite  a livello artistico, letterario e filosofico; le ostinate argomentazioni  filosofiche-cristiane dell’appassionato e onesto  Leon (l’amoroso di Alina) che lo rendono apparentemente sicuro delle sue asserzioni vengono a sgretolarsi come un castello di sabbia o a cadere come un muro di cartapesta nel momento in cui si confronta con Mino(uno dei fidanzati di Susanna), medico omeopata, sostenitore della filosofia indiana e della “macrobiotica”,  Leon si mostra molto affezionato a quell’architrave sulla quale si sono costruiti secoli di filosofia occidentale ( greca e giudaico-cristiana).  L’autrice è stata molto sagace inserendo anche degli snodi critici sulla mistificazione dell’arte  e ai compromessi che gli artisti spesso sono costretti ad accettare; Alina, preda della morsa dei suoi pregiudizi non comprende i motivi artistici controcorrenti di Guy  (pittore amico di Leon) tanto da entrare in contrasto con Leon, questi sostiene che i grandi artisti come Van Gogh o Gauguin sono ancora ricordati perché hanno disobbedito ai canoni artistici della loro epoca e non hanno seguito le mode artistiche del loro momento storico. Tuttavia il romanzo intrattiene il lettore grazie a quel pizzico di ironia e di humor  saccenti  nella descrizione dei vari personaggi come nel caso del ritratto di Susanna, l’amica di Alina. Fra l’altro man mano che l’ordito narrativo si districa ci sarà un’evoluzione delle protagoniste che sorprenderà il lettore, un rovescio dell’inizio che condurrà alle nuove  conquistate consapevolezze di Alina perfino Ruggero, merlo e compagno di infanzia della nostra voce narrante, ottiene la libertà. L’animale è desideroso di volare, come Alina in fondo, ma entrambi provano vertigine e sono implumi.  Adelina, “zia” di Susanna e donna anziana, il suo nome è  fra l’altro con una  radice molto simile,  questa veneranda signora sarà lo sprone finale per far abbandonare ad Alina la gabbia o le gabbie che la tenevano prigioniera. Quali avventure vivrà la piccola sorellina minore di Agave? Quali scelte prenderà? E Agave da ribelle incallita si cucirà le ali cerate  di Icaro?

“La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare” cit. tratta da “Mi fido di te” di Jovanotti

Sabrina Santamaria