Il poeta contro lo spleen: “Catene” di Antonio G. D’Errico e Donato Placido

(a cura di Sabrina Santamaria)

Note biografiche di Antonio G. D’Errico

Antonio Gerardo D'Errico è uno scrittore italiano, poeta e autore teatrale e cinematografico. Due volte vincitore del prestigioso Premio nazionale Grinzane Pavese. Ha scritto le biografie di grandi interpreti della musica d'autore italiana, da Eugenio Finardi a Pino Daniele, da Tony Cercola agli Alunni del Sole, al produttore di Mia Martini Peppe Ponti. Anche il  leader del Partito Radicale, Marco Pannella, lo ha scelto come interlocutore sapiente per la scrittura del saggio politico dal titolo Segnali di distensione. Vanta collaborazioni con autori di fama internazionale, tra i quali il venezuelano Jorge Real, con cui ha realizzato il romanzo Rapinatore per gioco, ispirato alla vita del rapinatore gentiluomo Palo Pennacchione. Antonio Gerardo D'Errico ha consolidato un sodalizio artistico ultraventennale  con Donato Placido, poeta e attore, fratello del noto regista e attore Michele Placido.
Antonio Gerardo e Donato hanno pubblicato come coautori romanzi di successo, come “Montalto”, fino all'ultimo respiro, dedicato all'agente di polizia penitenziaria ucciso a Trapani, vittima di un agguato mafioso.
La loro ultima pubblicazione è la raccolta poetica “Catene”, pubblicata da edizioni romane Ensemble.

Un titolo ossimorico: liberarsi dai vuoti esistenziali

La poesia è un genere letterario che libera gli autori da stati d’animo malinconici o tristi. Esprimere versi è un’attività solipsistica nella maggior parte dei casi, però in alcune circostanze capita che due poeti siano sulla stessa lunghezza d’onda e, magari, cavalcando le medesime emozioni danno vita a una raccolta poetica scritta a quattro mani;  “Catene”(edita da Ensemble) è uno di questi casi infatti Antonio G. D’Errico e Donato Placido hanno incrociato i loro sentieri poetici incrociandoli in questa pubblicazione di alto pregio letterario. Il titolo dell’opera è ossimorico tanto è vero che in ogni espressione alberga una ricerca profonda della libertà e della verità, due aneliti molto carenti in questa umanità becera e senza scrupoli. Nei versi dei nostri autori si percepisce un loro ancoraggio ai valori, ai ricordi che forniscono una carta di identità alla loro anima poetica. Il loro verseggiare è assorto e ogni lettore può affacciarsi al loro mondo interiore, a volte nostalgico e malinconico a volte rapito  da sofferte riflessioni. Scrivere poesie è quasi sempre un traguardo raggiunto  dopo la rielaborazione dei propri vissuti, i testi racchiusi in “Catene” non sono alogici o arazionali, sviscerano la sensibilità dei nostri autori insofferenti all’insensato vuoto esistenziale che ai è impadronito dell’uomo contemporaneo, per questa ragione ben fondata Antonio G. D’Errico e Donato Placido si impegnano a trasmettere ancora la bellezza dell’infinito e il desiderio di irrobustire le proprie ali per volare in quanto  non si accontentano di essere come lo stormo “Buon appetito” che si  ingozzava  in riva al mare, la loro poesia traccia le coordinate che potrebbero aiutare i lettori a ritrovare  se stessi, in fondo in “Catene” possiamo ritrovare il sogno di libertà che, forse, tutti noi avevamo perso.

Sabrina Santamaria

Intervista all’autore Antonio G. D’Errico

S.S: Raccontaci del tuo primo incontro con la poesia…

A.G.D :L’incontro mi suggerisce un modo di essere e di comportarmi di fronte a qualcuno. Di fronte a qualcosa invece mi sembra di essere solo coi miei pensieri, con le mie azioni. Qualcosa mi stimola la riflessione, la conoscenza, il metodo, la verità o il suo contrario. La poesia mi è arrivata tra le mani fin da piccolo, e naturalmente tra i banchi di scuola. Era una poesia intrisa di spirito ottocentesco: Carducci, Berchet, De Amicis, Viviani, Di Giacomo, Manzoni. Con la crescita ho proceduto a ritroso, dal Settecento, poi l’Arcadia seicentesca, Sannazzaro, Metastasio, il Rinascimento, fino a Dante e Petrarca. Con la maturità sono ritornato al Novecento e ho scoperto un mondo di fascino, di pensieri e immagini vicini a quelli che si costruivano dentro e fuori di me. Ho conosciuto i paesaggi della Liguria grazie alle suggestioni poetiche di Montale, ho sentito l’aria della Grecia e della Sicilia nelle liriche di Quasimodo. Ho visitato il mondo seguendo le prospettive poetiche dei versi di Ungaretti, di Saba.  Ma poi tutta la ribellione viscerale di Pasolini, la “noia” di Moravia. Ho letto Zanzotto, la poetica cristallina di Clemente Rebora, lo sguardo tra cielo e terra di Padre Maria Turoldo. Poi la fine di un mondo remoto e pieno di spirito mi ha posseduto anima e corpo: la mia terra di origine, le persone semplici e uniche della mia infanzia, la bellezza del canto che risuonava tra le stanze di quelle casette con le finestre sempre spalancate. La vita ha preso forma sentimentale, illuminandomi la vita. Più tardi l’esigenza di condividere quella bellezza col resto del mondo. La scrittura: la poesia, ma non solo.

S.S: Se dovessi dare una definizione di “poesia” quali enunciati useresti?

A.G.D: La realtà. Farei riferimento alla realtà, al vero. L’ispirato non ha valore, se non nelle favole dei bambini: dei bambini, non per i bambini. Nell’immagine della poesia ritorna l’eco della voce di quanti mi hanno fatto sperare una bellezza stando tra i banchi di scuola. Ritorna l’immagine eroica del poeta “artistiere” di Carducci.  Ma poi prevale la delicatezza crepuscolare di Gozzano o la sonorità meravigliosa e palpabile con le mani prima che con lo sguardo di Andrea Zanzotto. 

S.S: Il titolo della tua raccolta poetica “Catene”  allude anche alla tua espressione di  sentimenti che ti tengono ancora legato?

A.G.D: No, esprimo verità che liberano, che portano seco il fuoco del bisogno di libertà. La libertà è un concetto smarrito ormai, dopo l’attacco che ha subìto da una società che vive di propaganda e revisionismo storico vuoti, privi di valori eterni. Il senso eterno della vita è riposto nell’ontologia della libertà, la ribellione di Kunta Kinte, il martirio scelto dagli innocenti, quello perpetrato ai danni di chi ha fatto dell’innocenza la sua vita.

•S.S:  Quali nuovi orizzonti la letteratura potrebbe disegnare?

A.G.D: Se la letteratura è asservita al piacere personale, all’interesse economico, come capita per certi che scrivono parole da leggere poi in televisione, nei programmi dove vengono invitati da amici e conoscenti dei padroni dei contenitori, non serve a niente e a nessuno, a parte a coloro che vivono per divertire un pubblico che segue gossip e calcio. Due grandi argomenti di interesse pubblico, profondi, intimi, dove l’anima trova elevazione e interesse speciale, dove l’urlo e la sfida sono l’esaltazione dei sensi vibranti di passione.

S.S: In quale arcano punto della tua esistenza si incontrano la tua passione per la musica e per la letteratura?

A.G.D: Potrei risponderti nei silenzi, dove ognuno può contemplare l’eternità. Per me, come ho detto prima, i silenzi più significativi sono stati quelli della mia infanzia, dove tutto ha preso forma e destino, compiutezza del germe vitale.

S.S: Quando scrivi  quali sensazioni ti fanno dondolare  fra altalene dei tuoi ricordi?

A.G.D: Quando scrivo niente mi fa dondolare. I ricordi, i pensieri, la meraviglia, la bellezza non sono parole consumate dall’uso spropositato di una società che non vive di certe profondità; ma  ripete le cose dette da chi gioca in televisione a fare il menestrello. A me tocca il cuore la vita con i suoi dolori e i suoi slanci. Mi preoccupa e mi impensierisce la vita di chi si dispera per andare avanti, di chi dorme dentro un cartone sotto un muro di cemento della stazione. MI piace gioire della luce del giorno quando la vita si desta con una felicità nuova per tutti. I pochi non rappresentano nulla: rappresentano, appunto, il mancante, il privato di pienezza. Io sono affascinato dal pieno e dal tutto che accoglie, che tiene insieme.

S.S:  Quali autori ti ispirano maggiormente e, in particolare, quali testi?

A.G.D: “Non sempre il tempo la beltà cancella/ O la sfioran lacrime ed affanni/ Mia madre ha sessant’anni/ E più la guardo, più mi sembra bella”.  E’ una strofa di De Amics, nella poesia che dedica a sua madre, dal titolo perfetto e semplice: A mia madre. A me non piace la retorica, pallida di vissuto, ma mi commuove la verità. L’Iliade e la Divina Commedia, la Bibbia sono rivelazioni del divino che prende forma di racconto, di visione etica e morale. Tra gli autori che mi hanno sorpreso nomino Tommaso Landolfi, il suo romanzo breve: Ottavio di Saint-Vincent. Ha saputo investigare verità con un pensiero leggerissimo. Usando uno stile diverso, ha detto verità come ha fatto Pirandello in ogni ambito di dominio della parola.  

S.S: Ti sei mai rallegrato allo spuntar di una tiepida alba?

A.G.D: Non mi rallegro facilmente, soprattutto per niente del genere. MI meraviglia sicuramente il moto della terra, l’infinito, le stelle, il sole. Mi fanno pensare. Una volta guardando il cielo stellato non ho pensato a Kant, tanto parodiato di questi tempi, ma ho scoperto la verità del logos di Pitagora. E’ stata una scoperta sorprendente: ero in campagna, disteso in mezzo all’erba, sopra una collina. Mio papà stava arando col trattore in una piana di terra posta sotto la collina. Poco prima del tramonto del sole, con la prima stella che si è illuminata giusto sopra la mia testa, mi è sembrato quasi di poterla toccare, poi si è accesa una seconda stella, poi la terza, seguite da tutte le altre. In un attimo mi è comparso l’universo in quell’immagine del cielo completamente buio, le profondità del quale erano descritte dalle luci delle stelle. Quel moto di apparenze e di assenze mi ha rivelato la filosofia misterica di Pitagora. E’ bastato uno sguardo per capire quanto dai libri avevo appena scorto come parole messe una dietro l’altra.

S.S:  Che ruolo hanno i poeti nella contemporaneità?

A.G.D: Hanno il ruolo che hanno tutte le persone. Spero per loro che vivano bene, in pace con tutti ma pronti a perdere  la vita per la verità. Ci sono stati martiri di grande passione nella storia, tra cui persone che in carcere hanno scritto pagine di una bellezza struggente, da Silvio Pellico a Gramsci. Santa Maria Goretti ha preferito la morte davanti alla violenza di chi voleva abusare del suo corpo e della sua anima votata a Dio. Padre Kolbe, deportato in guerra ad Auschwitz, chiese di essere fucilato al posto di un condannato a morte, giovane e padre di famiglia. Altri filantropi durante guerra hanno salvato centinaia di vite umane: Perlasca, Schindler. La storia è piena di esempi di vite valorose. Ci sono vite valorose che passano sotto i nostri occhi ogni giorno, vite invisibili, ma di grande rispetto. I poeti facciano la loro part come tutti coloro che saranno ricordati per le loro scelte coraggiose e imprescindibili da ogni calcolo, ogni interesse velleitario.

S.S: Il candore della luna ti sussurra dei versi?

A.G.D: Ogni cosa mi ispira un moto dell’anima e della mente. Ma ciò che è stato già oggetto di ispirazione per qualcun altro che ha meravigliosamente cantato Alla luna non mi induce a fare nulla del genere. Vorrei cantare le stelle ma i Salmi sono un inno solenne alla bellezza di quelle luci del creato. Allora scrivo quando sento che le mie parole possano creare un moto nuovo che preservi la vita, la protegga, la elevi. La vita, che è dimensione dell’anima rinnovata da propositi non consumati dal tempo e dalle mode, è l’unica bellezza, necessità e verità che mi interessa sopra ogni altro desiderio, piacere, sentimento ideale. Non rifuggo la realtà quanto mi siedo al tavolo per scrivere, ma la realtà mi insegna, mi guida e mi suggerisce le parole che danno valore dal principio alla fine al mio modo di essere, di dire, di fare, di sentire.

(Intervista rilasciata dall’autore Antonio G. D’Errico a Sabrina Santamaria)