Scrivere un libro autobiografico può essere espressione di narcisismo, di un istinto di autocelebrazione, oppure può significare intraprendere un percorso di autoanalisi per fare i conti con le proprie ossessioni in funzione catartica e liberatoria.
Nel caso di questo libro, lo spirito è invece quello delle Confessioni di Sant’Agostino, come ci rivela puntualmente e con molta chiarezza l’introduzione di Don Rocco D’Ambrosio: raccontare per svelare le nostre miserie e far conoscere a chi legge l’azione di Dio nella nostra vita. L’opera si può sostanzialmente dividere in due parti: la prima che va dalla nascita fino alla scoperta della vocazione e all’incontro con Dio con un’impronta decisamente narrativa, la seconda (sembra più un saggio) che descrive l’attività sacerdotale nella “trincea della Chiesa” e spiega il senso del suo impegno al servizio della Comunità e di talune posizioni assunte, della sua generale visione del mondo, del rapporto con la propria terra e le sue contraddizioni. Emerge la figura di un prete aperto dal punto di vista culturale, che vede sempre su di sé la benevolenza del Creatore, ma che ha anche uno sguardo sempre attento alle storture della società, alla povertà, all’emarginazione, alle situazioni di sopraffazione e violenza.
L’incipit del libro è legato all’infanzia trascorsa nella casa dei genitori, nella via XIX luglio: i pochi, scarni, ricordi dei nonni paterni e materni, il mirabile esempio di rettitudine e di onestà del padre e della madre. Una vita, fatta di pochi mezzi materiali, semplice e modesta, votata al sacrificio, al lavoro. Una vita ricca di valori.
In questo contesto il nostro apprende l’importanza della dignità.
“ … Mi hanno guidato nel mondo, insegnandomi a sorridere, a vivere nella semplicità, a comprendere fin da ragazzo la fatica e l’importanza del lavoro quotidiano… Con l’esempio mi hanno mostrato l’importanza di accontentarmi di una esistenza sobria e riconoscente cercando nello stesso tempo la conquista di una vita migliore, sempre dignitosa e onesta, pulita e indipendente.”
L’abitazione dei genitori è a breve distanza dalla Chiesa dedicata a Sant’Anna, la cui parrocchia è retta da Padre Girolamo Promontorio, punto di partenza e arrivo della Processione del Giovedì Santo, fulcro di un’intensa attività parrocchiale giovanile. In quel contesto, fatto non solo di catechesi, ma anche di iniziative culturali e sportive, Francesco cresce ed acquisisce una nuova consapevolezza spirituale durante il delicatissimo periodo dell’adolescenza nel quale nascono le amicizie vere e profonde, che durano tutta una vita, e ciascuno inizia a progettare il proprio futuro.
“ Gesù, il Vivente, mi è venuto incontro nei volti di persone che facevano parte della comunità parrocchiale; ricordo in particolare il parroco Girolamo Promontorio, le catechiste ed i giovani che mi hanno accolto per giocare e animare i pomeriggi che passavamo tra le pareti di quei locali parrocchiali. Sono stati anni meravigliosi- ne sarò sempre riconoscente- nei quali ho sperimentato la presenza reale e trasformante di Gesù Cristo.”
Il momento decisivo, il punto di svolta nella vita di Francesco, è quello del trasferimento a Piacenza, dove conosce la nebbia, la neve e le acque del più lungo fiume d’Italia : il Po. Si sposta a Piacenza per coltivare un sogno: quello di diventare agronomo e, in quanto tale, offrire il suo contributo in un Paese in via di sviluppo.
A questo punto, il racconto mi suggerisce una riflessione, legata alle distanze, distanze che purtroppo sono d’attualità in un momento storico nel quale, a causa di un microorganismo che non siamo in grado di combattere, siamo costretti a frapporre una barriera fra noi e gli altri che impedisce le strette di mano, gli abbracci fraterni. Francesco Fiorino ci parla, invece, di distanze che Dio ci invita a cancellare, fra noi e Lui, fra noi e i nostri fratelli. A volte si tratta di pochi metri, tratti di strada brevissimi, marciapiedi da attraversare per poterlo raggiungere e porre mano alla realizzazione del disegno che Dio ha concepito per noi. Eppure quei pochi metri, quei tratti di strada, quei marciapiedi, implicano un percorso esistenziale, spirituale, ideale, culturale, che equivale a circumnavigare il globo terrestre e nel quale bisogna vincere le resistenze proprie e quelle di chi ci circonda.
“Furono mesi entusiasmanti e travagliati. Pensate alle reazioni “agitate” dei miei genitori…”
Tanti restano fermi nel punto in cui si trovano o addirittura prendono un’altra direzione, corrono nel senso opposto. Francesco, invece, quel marciapiede lo attraversa ed inizia al Collegio Alberoni di Piacenza il suo cammino di formazione teologica e spirituale che lo porta all’ordinazione sacerdotale e ad una vita sempre orientata al bene comune di un prete innamorato della propria terra, ma tenacemente votato a combatterne le storture e le ingiustizie, gettando il seme del cambiamento attraverso la diffusione della Parola di Dio. Assume diversi incarichi di prestigio, si fa promotore di tante iniziative, ma sempre nell’ottica del servizio disinteressato e della ricerca del bene collettivo, ispirato dai versi di una canzone del cantautore Giosy Cento : “Cerco amore come l’aria che respiro”.
Francesco rifugge dalle tante etichette che negli anni gli hanno voluto affibbiare : prete che fa politica, prete carabiniere, prete inquisitore, rompiscatole e testone, vulcano o addirittura scimunito. Dedica quasi tutta la seconda parte del libro a confutare queste affermazioni, rivendicando con forza i valori che lo guidano nella sua instancabile attività quotidiana. Interessarsi di politica, ad esempio, significa essere dalla parte di chi ha bisogno, dare il proprio contributo senza remore e pregiudizi per migliorare la nostra società seguendo la lezione di Giorgio La Pira e l’esempio di Don Luigi Sturzo e altri che hanno partecipato attivamente alla vita politica per dare un contributo disinteressato e liberare energie costruttive.
Il suo essere prete, che vive il suo impegno vocazionale con grande coerenza, egli lo riassume in sei verbi, le sei A, che rappresentano i capisaldi del suo agire quotidiano, indispensabili “per restare umani e cristiani”: ascoltare, accogliere, aiutare, accompagnare, animare, agitare.
Un testo, quello di Don Fiorino, che, in definitiva, ci fa conoscere l’uomo con la sua passione, le sue scelte, la sua sensibilità, la sua capacità di leggere la realtà, che mostra il suo sorriso, ma allo stesso tempo è pronto a spendersi, a lottare per una giusta causa, che riconosce i doni ricevuti da Dio e dal prossimo, ma che è, egli stesso, un dono per la comunità in cui opera, un fulgido esempio di “Giusto di Sicilia”.
Francesco Camagna