Il vecchio Contadino e il giovane Sapientone

Si viveva meglio quando si stava peggio,

o si vive peggio ora, che si sta meglio?

Un vecchietto, come faceva abitualmente ogni giorno, se ne stava seduto tutto da solo a trascorrere gran parte della sua giornata, su una delle tante panchine dislocate nei vialetti della villa comunale di Ribera. Durante il suo rilassante riposino, si concedeva la solita fumata con la sua pipa artigianale, la cui cannuccia era lunga e leggermente ricurva. Oltre alle prolungate fumate, gli piaceva guardare l’azzurro del cielo; sentire cinguettare gli uccellini; gli piaceva anche guardare gli alberi, i fiori e tutto ciò che profumava di «terra», la sua terra. Un giorno, a interrompere la sua solita quotidianità, gli si avvicinò un uomo di mezza età, dai modi affabili, ben vestito e dall’aspetto del professorino sapientone, il quale, dopo averlo salutato con garbo, gli chiese: «come mai se ne sta qui seduto tutto da solo»

Il vecchietto rispose con una certa serietà, velata di sottile ironia: «non sono solo e le assicuro che sto bene così come mi vede».

Il professorino sapientone, meravigliato e sorpreso dalla risposta, gli fa notare di non vedere nessuno accanto o seduto vicino a lui sulla stessa panchina.

Il vecchietto, senza dimostrare alcun imbarazzo e affaccendato a comprimere il tabacco nel fornello della pipa, gli rispose: «non sono solo, come ‘vossia’ (1) mi vede; sono assieme ai miei pensieri che mi accompagnano sin da quando ‘nni lu paisi (2) di Ribera e in tutta Italia, c’era rispetto per la gente; la casa era da tutti considerata sacra e inviolabile; soprattutto c’era ordine e disciplina».

Il sapientone, con la sua aria di superiorità culturale: «se ho ben capito, Lei si riferisce a quel nefasto periodo storico, quando si stava peggio?›› 

Il vecchietto: «pi ‘mmia si stava megliu prima, cioè quannu pi ‘vossia’ si stava peggiu, (3) perché, prima c’erano più doveri e meno diritti, però si viveva meglio; ora ci sono più diritti e meno doveri e stranamente si vive peggio».

Il sapientone, un po’ indispettito: «vedo che lei si trastulla nel rievocare avvenimenti che la storia ha universalmente condannato. Comunque mi preme precisarle, che per uscire da quel triste ventennio fascista, era necessario che si procedesse «ab imis fundamentis», cioè serviva un rinnovamento radicale, a partire dalle fondamenta. Invece Lei, sembra non averlo capito e continua a vivere di nostalgici ricordi».

Il vecchietto un po’ sornione, senza mai perdere la calma e continuando a fumare la pipa: «vossia, ca mi pari allittiratu e sapi lu latinu, ma va pirdunari si sbagliu a parlari, pirchì sapi comè…quannu si è vecchi, capita di parlari ammatula e certi voti si dicinu cosi ca nun s’avissiru addiri». (4)

Il sapientone, rinvigorito nella sua vanità e orgoglio culturale, rispose: «vede brav’uomo, prima la società era prevalentemente agricola, con molti analfabeti e pochi diplomati e pochissimi laureati. Invece ora prevalgono i laureati in ogni disciplina; l’analfabetismo è scomparso; anche nel campo dell’agricoltura c’è stato un miglioramento; si è passati dalla coltivazione estensiva a quella intensiva, la cui prevalenza è agrumicola; tanto da far meritare a Ribera il gradito riconoscimento di “Città delle Arance”. Inoltre, bisogna ricordare che lo sviluppo della tecnologia e della scienza, ci hanno portato benessere e progresso».

Il vecchio contadino ascoltava e continuava a fumare; di tanto in tanto poggiava il pollice sull’apertura del fornello, cioè tappava, stappava e aspirava il fumo alternativamente; lo faceva per aumentare il tiraggio della pipa. Dopo una breve pausa e finito il rito della pipa, il vecchietto riprese: «tante delle cose che ha detto sono vere. E’ vero che l’analfabetismo è quasi scomparso ed è altrettanto vero che nelle pareti di ogni casa di ‘li rivilisi’,(5) ci sono appesi titoli di studio di ogni genere; è vero che tutti hanno la televisione, il computer, il telefonino, l’auto di grossa cilindrata e tutto ciò che il benessere e la tecnologia consente. Tutto questo ‘vossia’ lo chiama progresso. Però, vorrei capire bene se tutto questo progresso ci aiuta a vivere meglio o contribuisce a farci stare peggio?

Le faccio questa domanda, perché a me sembra che l’aumento dell’istruzione e quello che ‘vossia’ chiama progresso, anziché aumentare il rispetto tra le persone e sviluppare il senso civico a favore dei beni di pubblica utilità, non fa altro che aumentare il degrado urbano; il vandalismo; la corruzione nei vari settori della vita sociale e se ‘vossia’ permette, per il momento mi fermerei qui».                 

Risponde sempre con garbo il sapientone: «vedo, nonostante le apparenze, che lei è un attento osservatore della realtà che ci circonda; però deve anche sapere che la società è dinamica, si evolve; tutto cambia, a volte in meglio e a volte in peggio.

Comunque, per tutte le negatività che lei ha elencato, la colpa non è di Tizio, Caio o Sempronio ma dell’intera società».

Il vecchietto, giunto alle ultime pipate e un po’ spazientito risponde: «pruvissù vossia ma va scusari, però lu so discursu assumiglia a un bellu portafogliu novu e di gran valuri, cu l’unicu difettu di essiri vacanti e senza picciuli. Finemula na bbona vota di babbiari la genti e mi dicissi allura, di cu minchia è fatta stà biniditta società»? (6)

Il sapientone rimase sorpreso e imbarazzato per l’inattesa reazione: «devi sapere caro villico, che a Ribera, come altrove, la società è composta da tutte quelle persone che vivono stabilmente nello stesso territorio ed è suddivisa in diverse categorie professionali, industriali, artigianali, comprese le autorità civili, religiose e militari. Tutti sono sottoposti alla regola dei “diritti e doveri” da rispettare e osservare per una civile convivenza».

Il vecchietto ascoltava e nello stesso tempo puliva la pipa. Prima con un punteruolo smuoveva la cenere dentro il fornello, poi sbatteva sul ginocchio la pipa capovolta, per facilitare l’uscita degli ultimi residui di cenere. Inoltre, con l’arguzia del contadino dal cervello fino, disse al sapientone: «quindi, seguendo il suo ragionamento dovrei dedurre che tutto questo mal costume, a partire dal degrado fino ad arrivare alla corruzione, non è colpa della singola persona, ma è colpa della società e da tutti coloro che ne fanno parte»?

Il sapientone, con evidente soddisfazione: «Eproprio così; anche se sei contadino, vedo che hai appreso molto bene il concetto. La colpa è da attribuire alla società, perché è lei che forma gli individui, le classi sociali e ne determina anche gli usi e costumi».

Il vecchietto, sempre con astuzia: «Ribera da molti anni vive in uno stato di degrado urbano pauroso.

Nessuno si cura del verde pubblico, manca un serio piano di sviluppo turistico e commerciale; inoltre la circolazione automobilistica, così pure la sosta e i parcheggi, si svolgono nel completo disordine; si verificano ripetuti atti di vandalismo; manca la manutenzione delle strade e il paese non brilla per la pulizia. In poche parole, si vive in una condizione di palese violazione delle regole e chi più ne ha più ne metta. Per ‘vossia’, la colpa di tutto questo malessere è da attribuire alla società.

Però mi ha appena spiegato, che la società è formata da diverse categorie di persone e cioè da: dottori, farmacisti, professori, insegnanti, professionisti; così pure fanno parte della società gli amministratori pubblici con in testa il sindaco, gli assessori, consiglieri comunali; ci sono anche le autorità militari e religiose con in testa l’arciprete, i preti, i sacrestani con tutti i fedeli e parrocchiani. Quindi, volendo seguire il suo ragionamento si può tranquillamente affermare che il degrado urbano, il provincialismo, l’arroganza, la prepotenza, la mancanza del senso civico, compreso l’abbandono dei sacchetti della spazzatura per strada, sarebbe colpa di tutti coloro, nessuno escluso, che abitano e vivono a Ribera, in quanto sono i soggetti che formano la nostra locale società. Le posso finalmente dire, che le sue parole, arricchite dal suo elevato livello di istruzione, mi hanno fatto capire che il malessere che si vive a Ribera, non è solo colpa di Tizio o Caio in compagnia di Sempronio, ma dell’intera società, cioè di tutti ‘li rivilisi’. Pruvissù dopu sta bbedda chiacchierata ca ‘nni ficimu…(7)mi deve scusare, ma vorrei tornare a rivivere quei bei tempi passati, rimanendo solo, in compagnia dei miei ricordi».

Il sapientone, sbuffando indispettito e convinto di aver parlato al vento, poiché stava discutendo con un contadino culturalmente non in grado di capire, gli si rivolse con fare sprezzante: «è inutile che mi sforzo di spiegarti ciò che per te è difficile capire; quindi rimani pure con i tuoi vecchi ricordi, così starai in buona compagnia».

Il vecchio contadino pose termine alla conversazione dicendo: «Vossia è giovane e non può ancora capirlo, ma le assicuro che quando si è vecchi, i ricordi sono l’unica cosa preziosa che ci rimane e che spesse volte ci fanno sorvolare sulle tante controversie della vita. Inoltre, quello che Lei con enfasi chiama progresso, non aumenta la felicità delle persone, ma accresce la bramosia di volere tutto quello che serve o potrebbe servire per soddisfare i propri desideri. Oltre a tutto ciò, il cosiddetto progresso non innalza il valore della morale, anzi spesse volte la svilisce fino al punto di annullarla. Infatti, la gente ripete sempre con maggiore convinzione, che in questi tempi non c’è più morale né religione. Ecco perché continuo a pensare e sostenere che: “Si viveva megliu, quannu si stava peggiu”.

Richiami di nota:

(1) = Lei

(2) = Nel paese

(3) = Per me si stava meglio prima, cioè quando per Lei si stava peggio

(4) = Lei che mi sembra colto e conosce il latino, mi deve perdonare se sbaglio a parlare, perché sa com’è …quando       si è vecchi capita di parlare a sproposito e certe volte si dicono cose che non si dovrebbero dire.

(5) = i riberesi (abitanti di Ribera-AG.)

(6) = Professore, Lei mi deve scusare, però il suo discorso assomiglia ad un bel portafoglio nuovo e di grande valore,

con l’unico difetto di essere vuoto e senza soldi.

Finiamola una buona volta di prendere in giro le persone e mi dica allora, di chi ‘cavolo’ è fatta questa benedetta società?

(7) = Professore, dopo questa bella chiacchierata che ci siamo fatti

Giuseppe Tamburello