Damasco nero
(A mio padre)
Hanno retrogusto di fiele
le scomposte parole avvinghiate
al labile filo d’antichi ricordi.
Figure lontane aggrovigliate,
ammantate di lacrime e nostalgia.
Hanno un velo amaro
i tuoi occhi indifferenti,
ripercorrono a ritroso gli anni passati,
incespicano nel grido del mare
tra tempeste e barlumi di realtà.
Ascolto il vento, come un origami scuro
mi confonde la via.
Lapilli grigi di vita m’assalgono,
navigo irrequieta nelle notti insonni
cercando disperatamente
il bandolo d’un’intricata matassa.
S’è oscurata la luna dietro un damasco nero
per restare in un accorato silenzio e pregare. . .
Dilaga il pianto che nasce dal ventre
stretto in una straziante morsa.
Una smorfia amara segna il tuo viso,
forse non sai chi sono . . . La più bella o la signora.
Osservo una fotografia, siamo noi!
E chi sono questi Pulcinella imbellettati?
La tua mente vaga lontano
in un corpo che non gli appartiene.
C’è gelo nella mia anima,
blocca i pensieri e il respiro.
Una domanda silenziosa sale dalla gola arsa:
“Dove sei padre mio?”