Migranti

E’ cupo il cielo stamane. Dai vetri vedo scivolare rivoli di rugiada, guardo oltre, tutto è grigio. L’acqua scende giù a pulire lo sporco della città ma non riesce ad eliminare tutto.  Osservo il muro di indifferenza che regna fra gli uomini. Guardo lontano, oltre i tetti, il mare stranamente calmo. I gabbiani volano a filo d’acqua, cantano e si rincorrono. Vedo avvicinare una nave, si dirige verso il porto, non è una delle solite e all’improvviso lo spazio antistante si riempie di macchine, ambulanze. C’è un via vai, tutti attendono la nave che si avvicina. Mi chiedo cosa stia accadendo e di lì a poco tutto mi diventa chiaro. Il porto di Palermo, negli ultimi anni, è stato meta di navi di migranti e questa è una di quelle. La nave attracca al porto e cominciano le operazioni di sbarco. Che tristezza! Donne, bambini, giovani e vecchi, tutti nudi o quasi, infreddoliti con i visi smunti, stanchi, si guardano intorno spauriti. Finalmente terra. Guardando tutta questa gente, mi vengono in mente i nostri migranti quando in passato hanno lasciato i loro affetti e la loro terra in cerca di fortuna raggiungendo l’America o il centro Europa. E penso ai nostri ragazzi, che, anche oggi,  non trovano lavoro nella nostra terra e devono,  emigrare per trovarlo altrove. Osservo fuori mentre avviene lo sbarco e fra tutti mi colpisce una giovane donna, direi una ragazza, penso che abbia non più di quindici anni. Bella, occhi grandi, alta, capelli nerissimi e una pelle che sembra ambrata. Ha paura, si guarda attorno, sembra che i suoi occhi invochino aiuto. Si avvicina a lei uno dei soccorritori  la invita a

raggiungerlo. L’uomo è cordiale e lei gli si avvicina quasi cercasse un’ancora di salvezza. Parlano un pò e l’uomo l’accompagna alla vicina ambulanza affidandola ad un medico, la mettono su e vanno via. La pioggia fitta continua a cadere, anche nel suo grigiore Palermo continua ad accogliere. Così grigia e così piena di sole, con le sue strade di gente multicolore, dove una carezza o un sorriso non si nega a nessuno. Ospitale da sempre, dai primordi della storia dove uomini di tutte le razze hanno trovato terreno fertile per ricostruire la propria storia, e le loro tradizioni, che ci hanno tramandato costituendo, oggi,  il tesoro della  città.  L’arte di tutti i popoli che hanno sostato in Sicilia ha arricchito il nostro patrimonio culturale, lasciando grandi opere. Oggi la storia si ripete. Guardo tutta la gente che sosta al porto e la curiosità mi induce a scendere. Voglio capire cosa è successo a quella ragazza dagli occhi tristi. Mi avvicino ai soccorritori e chiedo informazioni sulla ragazza all’uomo che si è occupato di lei. L’uomo mi informa che la ragazza si chiama Samira e che è stata accompagnata all’Ospedale Civico per accertamenti. Ritorno a casa, non so che fare, apro l’armadio prendo un pò dei miei vestiti, dei pigiami, chissà ne avesse bisogno, qualche asciugamano, salgo in  macchina e mi avvio verso il pronto soccorso del Civico. L’inferno che si pone davanti ai miei occhi è inverosimile. Gente ovunque, nei corridoi, sulle sedie, sulle barelle di fortuna, gente che si lamenta, bambini, anziani. Tutto mi sembra inumano.  Occhi dolenti ti chiedono aiuto, mani tremanti ti guardano sgomenti, il dolore, la sofferenza, la paura di non essere curati

adeguatamente li fanno sentire impotenti davanti a tanto squallore. Mi guardo intorno e in un angolo del corridoio, seduta su una sedia, trovo Samira sola, abbandonata a se stessa, impaurita. Mi avvicino, vedo scorrere lungo il suo viso delle lacrime silenziose, non sa cosa fare, non conosce la lingua, sta male. All’improvviso le scende del liquido in mezzo alle cosce, si guarda e si ritrova in una pozza di sangue.  Ha una emorragia in corso, la conducono nella stanza delle visite e le iniettano, immediatamente, un anti emorragico. Il medico di turno chiede subito il consulto di un ginecologo che dopo un pò arriva. Non la lascio un attimo, cerco di rassicurarla, non ci capiamo ma penso che intuisca che la voglio aiutare, mi guarda con quegli occhioni grandi e neri, e si affida. Il ginecologo che la visita rimane inorridito “La ragazza è stata stuprata, ha diverse lacerazioni dovute a diversi rapporti con uomini diversi, mi dice, i danni che le sono stati causati hanno bisogno di un intervento chirurgico”. Rimango in silenzio, sensazioni diverse sento dentro di me: schifo, rabbia, dolore, tanto dolore. Mi passano davanti agli occhi le immagini della violenza subita da Samira, sulla nave. Gente senza scrupoli che alletta queste giovani donne con promesse di una vita migliore, di un lavoro nella terra promessa e invece, la usa oltraggiando non solo il corpo ma anche l’anima di ognuno di loro. Mi sento impotente, chiedo come posso aiutarla e il medico mi consiglia di starle vicino. E cosi che faccio, sto con lei, si rassicura e si assopisce. La guardo, quanta tenerezza,  penso a tutto il dolore che ha dovuto

sopportare. E’ partita dal suo paese lasciando i suoi affetti più cari in cerca di un nuovo futuro e si ritrova in un letto di ospedale stuprata e violentata. L’anima lacerata non riesce a ribellarsi. E penso a tutte  le donne  vittime della violenza. In che mondo viviamo! Ho la sensazione che l’essere umano non ha più nessun valore, abbiamo perso, nel tempo, la pietàs, solo vizio, sete di potere e di denaro. Gli esseri umani ridotti a “cose”,  merce di scambio, una nuova tratta degli schiavi dove uomini e donne vengono utilizzati solo a scopo di lucro per soddisfare piaceri insani di uomini senza scrupoli. Guardo Samira e non posso fare a meno di pensare al suo destino futuro in questa terra piena di contraddizioni. Chissà dove andrà, chissà cosa farà. La veglio tutta la notte ma la mattina vado via, non posso più restare, devo andare al lavoro, gli scrivo il mio numero di telefono su un biglietto, lascio detto all’infermiere di riferire di cercarmi se ha bisogno e che sarei tornata nel pomeriggio. Corro a casa, faccio una doccia e vado a lavoro. La mattina passa in fretta in ufficio, non posso fare a meno di pensare a Samira, chissà cosa sta facendo, se la stanno curando, se ha parlato con uno psicologo. Esco dall’ufficio, mangio un panino al volo e mi diriggo in ospedale. Entro al pronto soccorso ma non la vedo, mi informo in giro ma nessuno pare l’abbia vista, chiedo se è stata mandata in reparto ma nessuno mi dà notizie. Finalmente riesco a sapere che è stata operata, che l’intervento è andato bene. La ritrovo in reparto, è contenta di vedermi, finalmente un letto pulito. Sta procedendo tutto nel migliore dei modi ma un giorno

tornando in ospedale non la trovo più. Mi dicono che è stata dimessa ed è andata via. Volevo aiutarla, in qualche modo, ma non sapevo cosa fare a chi rivolgermi. Torno a casa, il mio pensiero va a lei per tutto il giorno. Ricomincio la mia vita di sempre. Ogni tanto penso a Samira, chissà come aveva reagito al male subito. Povera ragazza, così giovane e così provata dalla vita. Passa del tempo, un giorno mentre passo da via Roma mi accorgo di un gruppo di ragazze di colore che sostano lungo il marciapiede. Più che vestite sembrano svestite, tacchi altissimi e truccati di un trucco pesante, volgare. Capisco subito che sono prostitute, una di loro mi sembra di averla già vista, guardo attentamente e scorgo Samira. L’avevano buttata in mezza ad una strada, ecco come  vengono utilizzate le ragazze che arrivano con i barconi, tutte lì a fare le prostitute, nell’indifferenza generale. Mi avvicino e la chiamo, si gira, mi riconosce ma mi invita ad allontanarmi, mi dice che sono sorvegliate e che ha paura di essere malmenata. E così la invito a telefonarmi subito dopo il “lavoro”. Per giorni sono rimasta in attesa di un suo cenno, di una sua telefonata. Nulla, tutto tace fino a quando un giorno passando da via Roma mi rendo conto che continua a fare quel lavoro maledetto, mi accorgo della paura che soggioga lei e le altre ragazze, spesso stuprate e malmenate anche dopo il “lavoro” se era stato poco remunerativo. Una vita d’inferno, costretti a stare ogni giorno lì in quel posto maledetto, al freddo, al caldo, alla mercè di gente ubriaca o maniacalmente malata, indifferente al loro stato, gente che spesso a casa lascia

figlie della stessa età e cerca queste ragazze per soddisfare desideri repressi, frutto di fantasie malate, uomini di ghiaccio capaci di fare solo del male. Come si può accettare, in una società civile tutto questo, come è possibile che questa cosidetta società perbenista e permissiva continui a convivere con questo male sottile e allucinante che sconvolge sempre più gli animi. Una via senza uscita si stava profilando davanti a lei fino a quando un giorno capisce che è al limite, allora la invito a rivolgersi alle Forze dell’Ordine e a denunciare. Era molto spaventata ma lo spirito di sopravvivenza è riuscito a spingerla alla denuncia. Continuo a passare dalla via Roma, mi fermo ogni volta in quell’angolo di strada dove era solita sostare ma da un pò di tempo non la vedo più. Chiedo alle sue compagne ma non mi sanno dare indicazioni. Passa il tempo e un giorno squilla il telefono. E’ lei, sembra un fiume in piena, mi racconta di aver denunciato i suoi aguzzini, che delle suore l’avevano aiutata a trasferirsi in un’altra città e ora stava in un convento dove stava cercando di ricominciare a vivere una vita normale. Piangeva e rideva, povera ragazza, stava cercando di rinascere. Mi ha ringraziato per esserle stata vicino. Non mi avrebbe dimenticato. Quella telefonata arrivò in una giornata qualunque ma quel giorno il sole cominciò a risplendere, non avevo fatto molto ma ero contenta che Samira si era liberata da quelle catene che la tenevano inchiodata ad una vita che non era la sua.